L’ipotesi lanciata dal presidente Giovanni Toti di tenere le elezioni regionali previste per maggio giugno alla fine dello stesso mese di giugno o addirittura a luglio si presta ad almeno due riflessioni. Toti è in trincea con tutta la sua giunta da febbraio e fronteggia l’emergenza numero uno della recente Storia ligure e non solo. Non avrebbe neppure bisogno di una campagna elettorale semmai solo per definire la sua lista e i candidati da concordare con il centro destra.
Non è solo una questione di esposizione e visibilità, necessitate dalla stessa emergenza e che fanno seguito a un quinquennio nel quale la ribalta è stata occupata dal presidente sempre per condizioni estreme: il crollo del Ponte Morandi, la sua ricostruzione, le catastrofi ambientali, le piogge torrenziali, le mareggiate, le frane, i crolli degli altri ponti, quello sulla A6 e ora quello sul Magra. E’ chiaro che in democrazia tutto questo, al di là dello stato di totale necessità ed emergenza, comporta comunque un giudizio attraverso il voto, il confronto con soluzioni diverse, programmi diversi, visioni diverse, esposte dalle altre forze politiche in campo, quelle che sono oggi all’opposizione.
Ma come è possibile organizzare questo confronto in questi tempi? Come è possibile concepire questo confronto in ogni ristrettezza di tempo e perfino di spazio: senza manifestazioni pubbliche, senza confronti diretti, senza incontri con i propri sostenitori. Insomma una campagna elettorale non si può fare in streameng, né con le video conferenze. Ciò riguarda non solo il candidato presidente ma tutti i candidati.
L’altra riflessione riguarda l’opposizione, il Pd, i Cinquestelle, la Sinistra in generale, nella acrobatica posizione di stare “contro” in Regione e in Comune e di stare al Governo a Roma, avendo le Regioni, Toti compreso, spesso in contrapposizione. Duole osservare che questa opposizione, che era già in ritardo prima che incominciasse l’inferno pandemico, non ha fatto passi avanti nel preparare un confronto elettorale.
A me pare che non ne abbia fatti neppure davanti all’epocale vicenda che viviamo, forse rintanandosi dietro le scelte del governo di Conte. Ci si poteva aspettare su questo territorio qualche mossa importante, non solo la scelta di un candidato che sembra come l’Araba Fenice, dopo le indecenti manfrine di dicembre, gennaio, febbraio. Bastava, magari, qualche collaborazione concreta, sotto forma di proposte fondate sulla Sanità che per altro la Sinistra aveva amministrato per dieci anni filati in Liguria.
Ci si aspettava un piano da “consigliare” per il territorio, una risposta al richiamo, mai come oggi urgente, di un “serrate le fila”, di un minimo comune denominatore contro un nemico tanto aggressivo. Sono arrivate solo le rituali frecciate e qualche polemica, perfino marginale nelle proporzioni del disastro che si vive, con centinaia di morti e gli ospedali in emergenza totale e le città chiuse. Nulla.
Come si fa a partire con una campagna elettorale in queste condizioni, come si fa a preparare il massimo esercizio della democrazia, la chiamata dei cittadini al voto alle scelte? Certo: forse in questa situazione si potrebbe invocare “una sospensione”, “ un commissariamento della politica” e non certo solo perché l’opposizione è in ritardo.
Si sono chiuse le scuole, si chiude la politica fino a quando essa non è praticabile. Può sembrare una provocazione, che contiene un vulnus profondo alla pratica democratica, una sospensione non della politica, ma dello stato democratico. Ma allora, come se ne esce?
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