Ci risiamo. L’assalto ai Navigli di Milano delle ultime ore ricorda istintivamente l’assembramento di Sestri Ponente. Appena qualcuno scatta una fotografia che immortala una ventina di persone in uno spazio di qualche centinaio di metri quadrati si diffonde l’indignazione popolare. Si parte con le reazioni sui social media: insulti, offese, accuse pesantissime di voler mettere a repentaglio la pubblica incolumità.
A ruota seguono i titoloni sui giornali e i servizi nei tg, parte la caccia ai runners senza mascherina per rendere meglio l’idea del pericolo. Poi arrivano i politici che censurano l’irresponsabilità dei cittadini, facendo capire che il grande ritorno del virus ormai è certo. Il grande cinema del covid19 si conclude con elicotteri e droni a caccia dei trasgressori. No, non voglio difendere chi non rispetta le regole. Penso anzi che chi trova il modo di eludere le norme, fantasticando scuse per poter uscire senza una ragione reale, faccia lui stesso parte di questa grottesca messa in scena legata alla reale emergenza che stiamo vivendo. Così come chi indossa le mascherine sotto il mento, o chi in barba alle regole si sposta da una regione all’altra a caccia di immaginari domicili o supposti congiunti.
Ma fatta questa premessa è bene per una volta andare al nodo della questione. Perché ci si scandalizza quando si osservano immagini come quelle dei Navigli in Lombardia, di Sestri Ponente a Genova, di Central Park a New York? Perché abbiamo messo nel mirino strade all’aperto, parchi pubblici, sentieri, spiagge, campagne, spazi soleggiati e ventilati e chi li frequenta? E’ in questi luoghi che si rischia effettivamente la diffusione del virus? E’ con presunti assembramenti in posti all’aperto che il covid19 ha potuto spargersi nella collettività? Se così fosse oggi avremmo un maxi focolaio tra piazza Baracca e via Sestri, frutto delle resse denunciate alcune settimane fa.
In realtà gli scienziati – seppur sotto voce – hanno chiarito che il contagio è molto più facile nei luoghi chiusi. Lo dicono anche le statistiche che sono entrate nel dettaglio su questo tema. Uno studio pubblicato a fine aprile dall’Istituto Superiore di Sanità rivela che il 44% dei contagi è avvenuto nelle case di cura, il 24,7% tra le mura domestiche, ili 10,8% nelle strutture sanitarie, il 4,2% nei luoghi di lavoro. Intorno all’uno e mezzo per cento centri religiosi e navi da crociera. Insomma tutti ambienti chiusi. Per correttezza di informazione c’è una voce ‘altro’ al 12% circa. E qui dentro possono starci anche, ma non solo, luoghi all’aperto. Se a livello globale avessimo saputo controllare, come dovrebbe essere, ospedali e centri per le persone anziane, il coronavirus cosa sarebbe stato? Quanti morti in meno avrebbe provocato?
La statistica ci aiuta comunque a capire che dobbiamo preoccuparci sì del contatto stretto con qualsiasi persona che potenzialmente potrebbe essere infetta, ma anche del luogo in cui ci troviamo. Molti scienziati hanno anche sottolineato l’importanza di areare i luoghi chiusi per ridurre la presenza delle famose goccioline provenienti da starnuti e colpi di tosse. In altre parole nei luoghi dove circola aria il contagio è molto più difficile.
Eppure il risentimento collettivo per ogni comitiva a distanza ravvicinata all’aperto è sempre stato infinitamente superiore a quello della gestione nelle case di cura, a quello per la mancanza di dispositivi di protezione nelle strutture ospedaliere. Vediamo una persona che cammina senza un perché e senza mascherina, è un potenziale untore, un pericolo. Lo amplifichiamo, lo individuiamo come causa del male che ci affligge, che ci impedisce di vivere normalmente. E’ il capro espiatorio. Su di lui possiamo scaricare i sensi di colpa. In realtà un problema che esiste, ma è marginale, ci ha distratti.
E forse come comunità ci ha costretti a normative estremamente rigide che da una parte mettono in ginocchio l’economia e dall’altra producono comportamenti sociali dannosi per la comunità stessa. “Hai visto quanta gente in giro oggi?”, “C’è traffico, c’è di nuovo traffico”, “Oggi c’era il mondo in piazza”, “Siamo al liberi tutti”, “Torneranno i contagi”, “Che cosa fate fuori? Irresponsabili”, “La curva torna a crescere”, “Chiamo i vigili, c’è troppa gente”, “Bastardi, tornate a casa”. Il virus che contagia moltiplicando queste frasi mi fa paura.
cronaca
"C'è troppa gente in giro!", l'indignazione collettiva è un virus che fa paura
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