Nei proclami degli Stati generali è stato ribadito che nel futuro prossimo del nostro Paese ci sarà una riforma della Sanità che punterà su alcuni obiettivi: più sanità pubblica e più sanità territoriale. Il ministro Speranza spiega che andranno recuperati i piccoli presidi per offrire una tutela della salute a chilometro zero. Niente altro, traducendo il termine “piccoli presidi” che quei piccoli ospedali di quartiere o di paese che furono sterminati con l’avvento del governo Monti nel plauso generale di tutti i partiti.
E vabbé, rivedremo sorgere questi piccoli presidi, magari vedremo riaprire quei piccoli ospedali che venivano accusati di fornire una scarsa assistenza e quindi anche per questo, dovevano essere eliminati. Sterminio decretato in nome del Gran Risparmio che ha distrutto una rete della sanità italiana che sicuramente aveva problemi, ma che meritava una maggiore attenzione e tutela.
Insieme a questi, però, la riforma dovrà ricostruire il ruolo del medici di famiglia che, abbandonati alloro destino durante la pandemia, si sono trovati ad affrontare i primi segnali inattesi del coronavirus, come un esercito in trincea senza alcuna difesa a prendersi addosso bombe e proiettili. Da qui il rosario doloroso di medici di famiglia vittime per avere fatto il loro dovere assistendo i malati a volte prima dei benemeriti ospedali pubblici.
In un recente articolo sul “Corriere”, Beppe Severgnini ha giustamente dedicato parole importanti a questa categoria. E ha ascoltato molte loro testimonianze e storie. Alcune drammatiche o tragiche.
Tra queste scelgo alcune sottolineature che meritano molta attenzione in vista di una riforma. Per esempio, alla domanda sul perché il ruolo dei medici di famiglia sarebbe così importante ecco un risposta: “Perché in caso di nuove epidemie che sono probabili e non solo possibili, i pazienti vanno tenuti fuori dagli ospedali, per quanto possibile”. E ancora; “Il pronto soccorso non è la porta di accesso al servizio sanitario. Quella porta ha un nome, si chiama medico di famiglia”.
Un cambiamento radicale che secondo il presidente del Gimbe (Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze) Nino Cartabellotta deve “partire da dentro la categoria”. Perché oggi il medico di famiglia è un libero professionista legato al servizio sanitario nazionale da una convenzione. E questo è un rapporto anomalo. Il problema è capire se i medici di famiglia sono d’accordo.
salute e medicina
Ci sarà anche la riforma dei medici di famiglia?
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