Se ne va anche Alfredo Biondi, a 92 anni dopo una lunga vita di battaglie politiche e da grande avvocato di grandi processi. Alfredo c’era ancora, anche se da anni era lontano da tutti, come se non volesse cambiare agli occhi del mondo quella sua immagine forte di vero Liberale, battagliero, facondo, irruente, ma anche così disponibile per le sue idee, per la sua politica, per il suo paese, per la sua città.
Era un avvocato, forse ancora prima che un liberale, la sua seconda pelle, di una facondia e capacità dialettica insuperabile, con quella voce forte, marcata dall’accento toscano e da un vocabolario ricco e irresistibile, farcito di interiezioni, di battute. Mi viene in mente la voce di Alfredo, prima di tutto il resto, prima della sua personalità prorompente di pisano-genovese, del suo curriculum legale parlamentare politico ministeriale, così ricco dagli anni Sessanta del suo esordio pubblico alla fine di oggi, in una stagione così diversa dalla sua di cavaliere senza macchia e senza paura. Non urlava mai Alfredo, ma alzava i toni e incantava il pubblico dei processi ( quanti ne ha vissuti, quasi sempre, ma non sempre, come avvocato difensore di grandi imputati, dai delitti più torbidi, agli scandali, agli altri reati di una società complicata e ruggente quella degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta, Novanta) e catturava l’attenzione dei dibattiti politici, sia che parlasse da oppositore (quanta opposizione nei suoi anni nel Pli minoritario) o da governante, ministro, vice presidente della Camera, carica ricoperta per lustri e lustri con quel suo orgoglio venato da una potente auto ironia.
La voce e la dialettica e poi la libertà, vissuta da un liberale vero, forse l’ultimo di una generazione grande e irripetibile. Ecco Biondi era il liberale, di un gruppo, una stagione anche molto genovese, ma non solo, dove c’erano i Cassinelli, i Trombetta, i Valenziano, i Perri e sopratutto il suo grande amico Gustavo Gamalero, che lo ha preceduto di pochi mesi nell’ultimo addio, quasi una uscita concordata tra i due. Liberale prima di tutto e si immagina quanto gli sia costato a un certo punto diventare un esponente di Forza Italia, un berlusconiano e di prestare al Cavaliere la sua arte i suoi talenti, come ministro di Giustizia di quel Governo nel quale quella poltrona doveva essere di Cesare Previti, che Scalfaro non voleva. Anche dentro a Fi e poi dentro al PDL Biondi restava liberale, una passione che lo bruciava, che lo onorava, perché come tale era stato, prima, ministro delle Politiche Comunitarie, poi ministro dell’Ecologia, anche segretario nazionale nel 1986, per un tempo breve su cui ironizzava con le sue battute feroci, deflagranti.
Era un liberale 'genetico' Alfredo, fedele ai suoi principi, costante, quasi fisicamente a dimostrarsi tale in ogni battaglia. Tanto è vero che alla fine nel 2011 era tornato al Pli dopo tutte le altre tempeste della sua politica e l’incompatibilità con il Cavaliere, che gli era simpatico, ma da cui lo divideva il principio chiave della politica. Ma prima ancora era un avvocato, l’avvocato di quei mille processi, vissuti sempre con una passione forte, con la capacità di entrarci nella parte di difensore o di parte civile, con una sola occhiata al fascicolo. Si dice che da giovane riuscisse a discutere tre cause in una sola giornata, grazie alla sua capacità dialettica dirompente, forbita, affinata. Aveva incominciato da giovane toscano, arrivato a Genova, nello studio di Luca Ciurlo in via san Lorenzo, un altro leone del Foro genovese, un maestro dalla retorica ultra raffinata. Ma ben presto quello era diventato anche lo studio Biondi, dove lo avrebbero circondato collaboratori fedeli per una vita intera, Mario Susan, suo cognato, scomparso presto, e fino all’ultimo giorno Pasquale Tonani, la sua spalla, il suo alter ego in quello studio di via Roma che era una specie di barricata legale e liberale.
Quarantacinque anni di vicinanza tra Biondi e Tonani, una specie di coppia di ferro. Doveva dividersi, Biondi, tra quella grande professione e l’attrazione politica irresistibile, che lo ha fatto vivere diviso tra Roma e Genova, tra quello studio, le aule ministeriali, parlamentari, del partito nella mitica via Frattina e nelle aule dei tribunali di tutta Italia. Un vortice nel quale Biondi nuotava come un pesce nella sua acqua, senza stancarsi, senza perdere una goccia di forza, di entusiasmo, senza mai abbassare di un tono la sua voce. Vice presidente alla Camera fino all’inizio degli anni Duemila per decenni, Alfredo passava da quel ruolo di ordine e di istituzioni da difendere, ai grandi processi come quello a Gigliola Guerinoni, la mantide di Cairo Montenotte. La sua era sempre una difesa spettacolare, ma anche tecnicamente incisiva.
Quando prendeva la parola, aggiustandosi la toga sulle spalle, magari con una battuta rivolta ai giudici, Biondi era veramente irresistibile. Certo, deve avere sofferto molto politicamente nell’estate del 1994, quando ministro di Grazia e Giustizia, varò il famoso decreto battezzato “Salva ladri”, che la politica berlusconiana aveva messo nella sua agenda di guardasigilli, lui liberale fino al midollo, quasi obbligato a accettare la poltrona che meritava professionalmente ma che riservava spine. Soffriva, ma la passione politica era troppo forte. Sapeva vincere e perdere in politica e nei processi. Ricorderò sempre una sua battuta, dopo una grave sconfitta elettorale, a una mia domanda da giovane cronista: “Vuoi una dichiarazione o la scritta per una lapide?”. Usciva sempre da ogni scontro come ci era entrato, con la passione giusta, con la carica giusta. Era diventato praticamente genovese e si batteva per la città con il suo accento toscano, fino a mettersi a disposizione per fare il sindaco quando la politica locale non trovava una soluzione. Gli hanno giustamente conferito il Grifo d’oro per questa altra passione.
Ha avuto tanti amici, tantissimi, pochi nemici perché era difficile non volere bene a Biondi ed era difficile non rispettarlo. Negli ultimi anni si era ritirato, un po’ per pudore di farsi vedere diverso da quella sua immagine tonante, di una simpatia irresistibile. Viveva protetto, ma seguiva tutto, da lontano con la stessa passione. Aveva vissuto il grande dolore recente della perdita del figlio Carlo, cui era legato come può essere un padre travolgente come lui. Solo parlando di Carlo e dei suoi processi usava un tono un po’ sommesso, che confessava il suo amore di padre. Mancherà a tutti, ai Tribunali, alla politica, alla città, anche se da tempo era lontano. Mancherà molto alle battaglie per la libertà e ai liberali veri, dei quali è stato l’ultimo campione. Un vero leone.
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Addio Alfredo Biondi, grande avvocato e ultimo leone dei Liberali
Se ne va dopo una vita di battaglie politiche e da avvocato di processi importanti
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