politica

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Il Pd di Zingaretti vince nazionalmente da solo o quasi tenendosi le due regioni-banco di prova del governo, cioè Toscana e Puglia.
Perde pesantemente in Liguria. Altro che tenuta! Sconfitta sonora, cinque punti rispetto alle regionali del 2015. Il governo Conte con la sua coalizione tiene nel Paese assicurandosi i prossimi mesi, ma viene sbaragliato in Liguria dove la rabberciata coalizione dell’ultimo minuto non raggiunge il 40 per cento.


I Cinquestelle vincono il referendum e in Liguria diventano un partitello, perché in Liguria il loro volto resta quello di Alice Salvatore (in un talk nazionale trasformata nel signor Salvatore Alice!), andata via a scomparire.
Scompare anche la Sinistra. In Liguria non arriva nemmeno al 2,5 per cento. Per non parlare del povero Renzi. Scompaiono definitivamente gli altri nomi a partire dalla Cassimatis. Nessuno mi pare si strappi i capelli.

Torniamo al Pd che è quello che ci interessa ora. In Liguria ha sbagliato tutto, non ora, ma da tempo. L’ alleanza con i Cinquestelle era la strada logica da percorrere, ma la scelta andava fatta un anno fa con l’individuazione di alcuni obbiettivi comuni e di un candidato unificante.

Ma l’errore più inspiegabile e imperdonabile del Pd è stato quello di trasformarsi in uno scendiletto, nello stuoino dei Cinquestelle in crisi assoluta e di un manipolo di resti della Sinistra che un tempo in questa regione ha fatto storia. Le celebrazioni dei cent’anni della fondazione del Pci ci obbligano a riletture oggi dolorose e fastidiosamente nostalgiche.

Uno stuoino che ha accettato tutto e tutti, ogni tanto sollevando un balbettio irrilevante, ma scomparendo dagli schermi quando si trattavano temi di incredibile urgenza, dalla ricostruzione del ponte crollato all’emergenza Covid. E di cose da dire ce n’erano, ma serie. Non limitandosi all’attacco a Toti tout court. Per esempio sul tema tremendo del contrasto al Covid e più in generale dello smantellamento della sanità territoriale.

Ora, secondo i costumi dei partiti, dovrebbe esserci l’ individuazione dei responsabili di questa disfatta. Facile compito. A cominciare dal vicesegretario nazionale del partito, Andrea Orlando, grande sostenitore a Roma di queste scelte liguri. In particolare della riduzione a scendiletto del partito che fu di Veltroni, D’Alema, Bersani, Renzi e altri. Il secondo posto dei responsabili spetta di diritto a Roberta Pinotti che ha brillato per la sua assenza almeno fino agli ultimi quindici giorni. Poi i locali, ridotti a maggiordomi a partire dal capogruppo in Regione che avrebbe dovuto essere la stella costante e incisiva dell’opposizione forte a Toti, quindi il segretario regionale da ieri trasformato in un mucchietto di cenere. Insieme a loro gli altri consiglieri regionali e i vecchi ex notabili. Li avete mai visti in questi mesi? Ci sarebbe voluto un altro Cofferati forse a dare la sveglia….
Dunque ecco il risultato.

Ora il Pd deve immediatamente prepararsi alle comunali di Savona e soprattutto di Genova. Nel capoluogo avrà di fronte una coppia molto forte, Bucci-Piciocchi a cui si dovrà opporre da subito un nome unificante. Un moderno Pericu. “Vaste programme…..”.

In Regione la strada da percorrere finalmente senza esitazioni è quella di pensionare le vecchie facce e sostituirle rapidamente con volti nuovi. Quelli degli amministratori locali del Pd, sindaci e assessori che lottano sul territorio tutti i giorni, facendosi davvero un mazzo grande così. Obbligati a rendere conto di ciò che fanno o non fanno tutti i giorni, nei faccia a faccia in piazza con i loro concittadini. Che non pensano solo a posare le chiappe su qualche comoda poltrona ben retribuita. (Avete idea di quanto guadagna un consigliere regionale?) E se la vecchia e fallimentare generazione dei sessantenni non vuole fare le valigie, il partito deve sperare che la generazione dei sindaci si faccia sentire e che i militanti chiedano conto seriamente della sconfitta.