politica

3 minuti e 20 secondi di lettura
Secondo il virologo Andrea Crisanti c'è il fondato pericolo che gli italiani trascorrano il prossimo Natale trovando sotto l'albero il regalo di un secondo lockdown. Ovviamente non ho le competenze per valutare se Crisanti sostenga una cosa giusta dal punto di vista tecnico. Lui fa il virologo, io il giornalista. Ma se la mettiamo sul buon senso, allora caro Crisanti una cosa mi sento proprio di dirgliela: se si fosse stato zitto avrebbe reso un servizio molto migliore a tutti noi.

Non è con affermazioni simili, infatti, che si costruisce il clima per combattere la battaglia contro il Covid. Non si tratta di nascondere niente, sia chiaro. Ma neppure l'espertissimo e preparatissimo Crisanti è in grado di dare delle certezze assolute. Difatti, come un giornalista qualsiasi, è costretto a usare il condizionale: potrebbe essere necessario un lockdown qualora e qualora e qualora.

In tutta questa difficile storia, l'aspetto psicologico è determinante. Chiunque dica che il peggio è passato, o addirittura arrivi a negare l'esistenza della pandemia (a proposito, l'ultima arrivata sulla navetta dei negazionisti è la sorella di Cristiano Ronaldo, come se non ci fosse già bastata, su altri temi, la signora Wanda Nara in Icardi), dice ovviamente una solenne corbelleria.

Ma anche coloro che fanno vaticini di sventura sbagliano. E, caro Crisanti, sbagliano quanto più alta è la possibilità che abbiano pure ragione. Ma scusi, professorone, se già adesso mi dice che a Natale sarà necessario un secondo lockdown, secondo lei io come mi ci preparo a quel momento? Indosserò la mascherina, starò alla larga dagli altri e mi laverò di continuo le mani, però nessuno - neppure io stesso - può supporre quali altre reazioni avrò, sapendo che tutto ciò non mi servirà a non finire recluso in casa. Perché me lo dice "uno che ne sa".

Dunque, come minimo sarò da subito depresso, con tutto ciò che ne consegue. Anche per la consapevolezza che ancor maggiore sarà il danno arrecato all'economia dall'infausta previsione. Lockdown, infatti, significa cassa integrazione, magari licenziamento per chi ha la sfortuna di avere dei contratti a termine, conti da pagare a fronte di entrate zero o quasi per tutti i lavoratori autonomi e per la stragrande maggioranza delle aziende. Una disperazione.

Già immaginando festività all'insegna del virus è impensabile che il tradizionale shopping natalizio faccia gli stessi numeri del passato. E lo stesso dicasi per il turismo, giusto per fare un altro esempio che interessa da vicino le latitudini liguri. Se in più ci dicono che ci sarà il lockdown, non è che le pur modeste spese già previste si anticipano. Più semplicemente, e drammaticamente, non si fanno. Non per propensione al risparmio, esercizio nel quale noi italiani siamo peraltro bravissimi, ma per puro spirito di sopravvivenza. Dettato da una autorevole previsione di sciagura imminente. E questo sarà un altro duro colpo per il Paese. Il tutto mentre la Cina vola, gli Stati Uniti vivono l'incertezza delle elezioni presidenziali e le Borse mondiali si preparano alla mietitura dei soliti avvoltoi, il che allargherà ulteriormente a dismisura la differenza fra ricchi e poveri.

Nella circostanza, dunque, prevedere il peggio, anche a fin di bene, o per stabilire l'effetto che fa, è la cosa peggiore. No, quella parolina importata dall'estero bisognerebbe non pronunciarla proprio. La storia ci insegna, del resto, che quasi tutte le decisioni più importanti sono state prese, nel mondo, senza lasciar trapelare nulla prima. Non dev'essere una casualità.

Meglio fare come i nostrani Bucci e Toti e altri sindaci e governatori sparsi per l'Italia: se serve, si chiudono pezzi di città e/o di regioni. Ma non si chiude tutto. E soprattutto non si dice di immaginare di doverlo fare da qui a due mesi. Ci sono altri argomenti per convincere gli italiani a essere cauti fin da subito. Quello di vaticinare il lockdown è il peggiore.