cronaca

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 La prima operazione post Covid che dovrà fare il sindaco Bucci sarà la “ricostruzione” del centro storico. Perché la città più massacrata dalla pandemia è proprio la città vecchia, dei vicoli e delle piazzette, i caruggi dai nomi suggestivi e commoventi.

Nomi bellissimi e facili da identificare non come le ultime strade così banalmente anonime. Piazza delle Erbe, vico dei Bottai, del Fieno o del Fico, del Filo o del Pelo, ma anche del Tempo Buono e dell'Amor Perfetto. Del Rosario e della Vena, Vico della Lepre e della Pece. Vico della Scienza o della Speranza, delle Camelie , vico Palla e vico Sottile, ma così Sottile che quasi non ci si cammina tanto è stretto.


Qui, sfiorando i muri dei palazzi scrostati, deturpati da graffiti osceni o da slogan di rivendicazione, il maledetto virus ha lasciato un segno molto difficile da cancellare. Ha lasciato il suo sfregio più tragico: la solitudine.
Quando alla fine degli anni Settanta un geniale assessore all’Urbanistica della prima giunta rossa di Genova (sindaco Fulvio Cerofolini), il professor Mario Bessone, affidò a un drappello di grandi firme dell’architettura il ridisegno della città vecchia nessuno ci credeva. Ci si misero Renzo Piano, Ignazio Gardella e Luciano Grossi Bianchi, Giancarlo De Carlo, Cesare Fera e padre e figlio Belgiojoso di Barbiano. Ognuno su un pezzo di città vecchia.

Il Molo, Castello, Pré, il Carmine e Borgo Incrociati. Ci vollero anni e il centro storico rinacque come per un miracolo inaspettato. I genovesi tornarono a abitarlo, le botteghe che avevano resistito risorsero e tanti giovani diedero vita e luoghi diventati piccoli motori di ripresa.

Tripperie, osterie, restauratori, strumenti musicali, gallerie d’arte.
Ho attraversato in questi giorni la città antica. Un nodo mi ha stretto la gola.
Toccherà alla giunta in carica e a quella che verrà dopo il 2022 (uguale o politicamente diversa) la grande opera di ricostruzione, risanamento, pulizia, sicurezza. Il rilancio. Senza centro storico vivo, Genova avrebbe poco da raccontare.