Per salire alla Spianata di Castelletto è d’obbligo prendere l’ascensore. La più poetica ascensore del mondo cantata dal poeta Giorgio Caproni.
“Quando mi sarò deciso/d’andarci, in paradiso/ci andrò con l’ascensore/di Castelletto, nelle ore notturne,/rubando un poco/di tempo al mio riposo”.
Dunque con la nostra telecamera del “Racconto di Genova” (Prossimamente a Primocanale) saliamo.
Anno di costruzione il 1909. Realizzato dalla società Lift’s, che misero su l’ingegner Sartorio e l’amico Stigler. Inaugurato in pompa magna alla presenza delle massime autorità cittadine.
La galleria che dal Portello porta alla fermata è un tripudio di piastrelle di Ginori. In alto salita San Gerolamo e l’uscita in una gabbia di vetri colorati.
Scrive Pippo Marcenaro: “L’ascensore di Castelletto è l’unico posto dell’Olocene di una Genova dove, se si è fortunati, con studiato appostamento, si possono ancora incontrare le signore con le piume sul cappello e la pelliccia di astrakan fino ai piedi. Sono le damazze che abitano i quartieri alti”.
La poesia della Spianata, delle case al centro, dei pini marittimi piegati è ferita dal ricordo di uno dei primi attacchi delle Brigate Rosse.
Erano le 19,30 del 12 gennaio 1977 quando l’armatore Piero Costa stava ritornando a casa a piedi. Un commando di sei brigatisti lo rapì. Fu liberato il 3 aprile in una strada di Rivarolo. Si trattò di un sequestro per autofinanziamento del gruppo terroristico. Il carceriere di Costa era quel Riccardo Dura che sparerà a morte nel 1979 a Guido Rossa e che verrà ucciso l’anno dopo in via Fracchia nel blitz degli uomini del generale Dalla Chiesa. Quel blitz che annientò la colonna genovese delle Br e segnò la fine degli anni di piombo a Genova.
In Circonvallazione a monte ci sono palazzi signorili e esternamente sobri, con grandi appartamenti di oltre 300 metri quadrati magari abitati da una sola persona. E le passerelle che collegano i piani alti al corso.
Ci abita la solida e buona borghesia. Per lo più di chiesa, i figli maschi andavano dai gesuiti dell’Arecco, le ragazze prima che chiudesse l’istituto dalle suore dell’Assumption, dove era madre superiora Lucia, la figlia di Alcide de Gasperi. Quelli più laici scendevano verso il Carmine, per entrare nelle austere aule del liceo classico Colombo. Sulle scale una targa: “Sol nella libertà l’anima è intera”.
Un magnifico cortile con la più bella statua del Navigatore che conosco: é seduto e pensoso e noi gli mettevamo tutti i giorni tra le dita il mozzicone della sigaretta che fumavano di nascosto nei cessi.
Un’altra lapide ricorda che Camillo Sbarbaro era stato un allievo. Poi anche Fabrizio De André.
Ci hanno insegnato grandi professori, il latinista Passerone, i grecisti Longo e Currao, gli italianisti Bemporad e Montanari. Allora lo guidava da preside il professor Figliolia. Hanno tutti sfornato una bella gioventù (a parte il sottoscritto). Avvocati e medici, sindacalisti nazionali e giornalisti. Ahimé…. Più avanti le indimenticabili lezioni di arte del professor Silvio Ferrari, letture dantesche e magnifiche sceneggiature manzoniane di Enrico Parodi e Marco Buscaglia che insegnava il latino come se fosse l’inglese, pronto a essere parlato per vivere o sopravvivere.
Il Colombo diede poeti, navigatori, eroi di guerra e di lotta partigiana. Era il liceo “progressista” per non dire di sinistra
Molti su con l’età nella città più anziana d’Europa abitano in Circonvallazione. Passeggiano nelle ore canoniche su questi antichi marciapiedi ora di lastroni che coprono l’antico acquedotto.
Nell'Ottocento i tacchi d'arenaria della Spezia favorivano la presa agli zoccoli degli animali, hanno una superficie di durezza uniforme e non lasciano penetrare troppa acqua nel sottofondo. Così il passaggio dei carri, in tempo di pioggia, non produce fango che rende sdrucciolevole e pericolosa la superficie della strada . Lo raccontano le vecchie carte comunali raccolte in un libro prezioso dall’architetto Rinaldo Luccardini.
Una borghesia quella di Castelletto che ha la sobrietà come principio di vita e quindi non ama la politica urlata. Una borghesia che schiaccia l’occhio alla sinistra moderata. Cattolica progressista.
Fernanda Pivano la grande traduttrice dei romanzieri americani che ha vissuto tanti anni a Genova in una casa con giardino in Circonvallazione, ricordava il profumo del glicine che ad aprile esplode negli angoli più schivi della città.
Nelle creuse, salita Bachernia, salita san Simone, salita Multedo, gli allergici stramazzano in primavera per la fioritura della canigea che spunta tra le pietre dei muri che un tempo erano muri a secco.
Ma in piazza Sant’Anna l’antica farmacia dei frati, vicino alla incantevole chiesetta cura ogni malattia.
Ha scritto Maurizio Maggiani: “Sant’ Anna la più bella piazza della città. No di più: Sant’Anna è la più sghemba, verdeggiante, complicata, segreta e dolcemente intima piazza d’Italia. E’ un ossimoro….Non c’è apparecchio fotografico abbastanza speciale da poterla raffigurare, non c’è sguardo che possa raccoglierla tutta” (Da “Mi sono perso a Genova” Feltrinelli 2007).
E nella chiesa della santa che è un piccolo tesoro c’è un dipinto di Gherardo delle Notti. Non lo avevo mai notato finché me lo ha segnalato Giacomo Montanari, il grande narratore dei Rolli.
Entriamo con la cinepresa. Eccolo Gerrit van Honthorst, seicentesco olandese e caravaggesco, ammirato per quelle inspiegabili luci che sembrano artificiali e illuminano particolari delle scene ritratte. A “lume di notte” appunto anche questo Cristo che incorona Santa Teresa d’Avila.
Giù dalla Vaccheria lungo la funicolare, poi per la mattonata di salita delle Battistine. Ci abitò Nietzsche, al numero 8. E nella scuola elementare ci hanno studiato Eugenio Montale e Gillo Dorfles. E anche Angelo Branduardi l’autore di “Alla fiera dell’Est”.
(7-continua)
IL COMMENTO
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