Ho provato ad aiutare Renato Scapusi, l'assassino di Clara Ceccarelli, era mio ex compagno di calcio da adolescente, lui aveva i piedi buoni, io solo tanta grinta. Non potevo immaginare diventasse un killer.
Negli anni della gioventù e dell'età adulta io e Renato ci siamo visti poco e parlati pochissimo come due persone che abitano lo stesso quartiere, il popolare San Fruttuoso, ma che di cose da dirsi non ne hanno.
Per questo mi aveva sorpreso e allarmato quando poco più di un mese fa incontrandolo in piazza Banchi, nel centro storico, stanco, lacero, sporco, lui si fosse fermato a parlarmi e, nonostante non avessimo più confidenza, si era subito sfogato: "Sono disperato, sono senza lavoro, la mia donna mi ha lasciato, i mie familiari non ci sono più, sono completamente solo e in mezzo alla strada, non ho da mangiare e non so dove dormire, mi serve un lavoro...".
Un grido di allarme che mi aveva colpito e avevo cercato di non lasciare cadere nel vuoto: "Ma che lavoro fai? Dammi il tuo numero di cellulare, ti faccio uno squillo così ti rimane il mio e ci sentiamo, provo a vedere se trovo qualcosa..." gli avevo detto.
Lui mi aveva risposto che il cellulare era spento perché tanto non aveva credito e nessuno lo cercava mai: una risposta che mi aveva fatto capire che il suo dramma era vero.
Chiesi lo stesso a Renato di darmi suo numero, lui prima di andare via mi allungò un bigliettino da visita sgualcito con sopra scritto il suo numero di cellulare e "René Parquet", perchè quello è il suo lavoro, posare parquet. C'è anche un indirizzo di casa: via Berghini 36 eccetera... ma scoprirò poi che lì non abita da decenni.
Avrei voluto scrivere la storia di Renato e raccontarla per quella che mi appariva: una sorta di appello per un quasi sessantenne rimasto senza lavoro nell'era del Covid, ma non l'ho fatto perché sapevo poco o niente di lui.
Il destino ha voluto che la sua disperazione mi piombasse addosso come un macigno mercoledì scorso, 17 febbraio, fra i giri di telefonate che faccio da cronista di nera.
René torna nella mia vita nascosto dietro la storia di un tentato suicidio di un uomo salito sulle scale antincendio del liceo King di Sturla. Apparentemente una non notizia: perché non si scrive dei suicidi se non c'è un riflesso sociale. Io provo ad approfondire e chiedo di sapere il nome dell'aspirante suicida. La risposta è un pugno nello stomaco: Renato Scapusi, 59 anni.
E' lui. Memore del suo disperato appello faccio un pezzo sul sito di Primocanale: l'obiettivo è rendere pubblico il suo dramma, raccontare quel tentato suicidio nell'era della pandemia pur garantendo la privacy a Renato, in modo che se qualche lettore vuole offrirgli un lavoro può farlo. I social a volte possono essere ciambelle di salvataggio.
La notizia colpisce, fa rumore su Facebook e quel che più conta un paio di lettori vorrebbero contattare il parquettista per offrirgli un lavoro. Provo a chiamarlo sul cellulare per avvertirlo. Una, due, tante volte. Ma è inutile: il numero sembra staccato.Chissa, forse, se avesse risposto ora non staremmo a raccontatrte questa tragedia.
Penso: lo avrà spento perché ricoverato in ospedale.
Ma anche giovedì niente linea.
Venerdì sera la notizia del femminicidio: accorro in via Colombo, la scena del crimine è circoscritta dalla polizia, intorno ancora pochi giornalisti. Trapela il nome della vittima. Si sa che a ucciderla è stato l'ex compagno, ora braccato dalla polizia. Ma noi giornalisti ne ignoriamo ancora il nome.
Un giovane esce da via Colombo, lo seguo, "conosceva la vittima?" chiedo. Lui, "sì", "sa chi l'ha uccisa?" incalzo. "E' il suo ex, è quello che ha tentato di uccidersi lanciandosi da una scuola, l'avete scritto voi di Primocanale". Mi blocco, esterrefatto. "Mi scusi Renato Scapusi?" chiedo. "Si, è lui".
Con l'angoscia addosso chiamo il dirigente della squadra mobile Stefano Signoretti che sta seguendo le indagini da lontano perchè in quel momento è fuori Liguria: gli chiedo se è vero di Scapusi, lui conferma, gli svelo che lo aveva incontrato disperato un mese prima e mi aveva dato un biglietto da visita con il suo indirizzo. Il dirigente drizza le antenne: mi dice che gli serve quel biglietto e mi esorta a riferire tutto ai suoi uomini e al magistrato che sono a pochi metri da me, aldilà del nastro che delimita la scena del crimine.
Faccio due passi e piombo davanti al negozio fra una miriade di poliziotti e lo stupore dei tanti mie colleghi assiepati rispettosi del limite. Il resto è storia nota. Renato, braccato, viene rinvenuto dopo tre ore, a dieci minuti di cammino da via Colombo. Ammette l'omicidio e finisce in questura e poi in galera. Scopro allora che era da sempre vittima del gioco: gratta e vinci e casinò di Sanremo, giocate compulsive nella speranza di diventare milionario. Dentro mi rimane dentro tanta amarezza, un grande senso di impotenza e molte domande che non avranno mai una risposta.
cronaca
Femminicidio, io cronista amico d'infanzia del killer
"Un mese fa mi aveva confidato la sua disperazione"
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