Penso al vincolo che la Soprintendenza ha messo sul vecchio gasometro in Valpolcevera, esempio di manufatto industriale di una settantina d’anni fa. E mi viene in mente, a proposito di anniversari, la distruzione della casa di Nicolò Paganini. Operazione che, in vico di Gatta Mora, cominciò nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1971.
Nonostante alcune centinaia di abitanti dell’antica via Madre di Dio, da quando le ruspe della modernità (fine anni Sessanta) avevano cominciato la loro opera per far posto ai palazzoni della Regione e ai deliziosi Giardini di Plastica, presidiassero giorno e notte a turno il vecchio e malandato edificio. Rimase in piedi solo la facciata. “Il Secolo XIX” raccontava che la notizia era stata data da un lettore che aveva visto operai con mazze e picconi “intenti alla demolizione”.
Il cronista andò a verificare che cosa stava accadendo tra vico di Pomogranato, vico Pignolo e vico dei Librai e accertò che le promesse che erano state fatte di salvare la casa natale del grande musicista non erano state mantenute. La Soprintendenza, interpellata, ripeteva che la casa era tutelata da un vincolo. Sulla facciata rimasta in piedi ancora per poco c’era un’edicola del XVII secolo con una Madonna col bambino (ora in piazza Sarzano) e sotto era stata murata una lapide commemorativa del violinista dettata da Anton Giulio Barrili. Nel piano regolatore particolareggiato di via Madre di Dio la strada che ormai stava scomparendo per sempre, si assicurava che la casa del violinista sarebbe stata risparmiata dal futuro cemento. Anzi, intorno avrebbero allestito un magnifico giardino con vialetti con i nomi dei vecchi vicoli che da Ravecca scendevano nella coloratissima e popolarissima strada.
Il cronista non è convinto e chiede notizie anche a un architetto dirigente del Comune il quale risponde che sì, effettivamente si stava facendo un’operazione di “disintonacatura” della casa. Il linguaggio degli architetti a volte è complesso nella sua chiara traduzione. Fatto sta che la casa fu cancellata pochi mesi dopo, definitivamente alla faccia della Soprintendenza e dell’architetto disintonacatore. (Ne parleremo nella puntata di lunedì del Racconto di Genova dedicata al violinista e a Cristoforo Colombo nativi della zona di Sarzano, ore 19.45 e 22.15).
Paganini al massimo del successo, aveva un sogno: acquistare Villa Paradiso (villa Saluzzo Bombrini) a Albaro. Non ci riuscì. Pensare che era la villa dove abitò per molti anni Fabrizio De André. Lo racconta il critico musicale Roberto Iovino: "Potendo possedere quell'altro palazzo di Delizia cosiddetto il Paradiso e perché no? farai bene a non perderlo di vista e mi saprai dire. Scriveva così nel 1832 Niccolò Paganini all'amico e amministratore dei suoi beni, l'avvocato genovese Luigi Guglielmo Germi".
L’interesse immobiliare del violinista, spiega sempre Iovino, si era poi indirizzato sul palazzo Saliceti di corso Andrea Podestà sopra il ponte Monumentale diventato storica sede dell’Eridania e poi facoltà universitaria.
Fortunatamente la questione dell’abitare andò meglio a Giuseppe Verdi che svernava a Genova e che amava la nostra città per il clima, la cucina, in particolare i dolci e un’altra qualità che il musicista descriveva così: “Non amo il mare, lo sapete. L’ho fatto per tenermi un po’ lontano dal mondo musicale e da tutta quella gente che, appartenendo a quel mondo, si crede in dovere di farvi un po’ troppo da padrone e non lasciare in pace coloro che, a dritto o a torto, sono di quel mondo gli individui più in vista. A Genova mi sento più padrone in casa mia di quanto non potrei esserlo a Milano”. Così racconta nel suo libro Leonello Sartoris. Insomma rispetto alla caciarosa Milano da bere, il compositore prediligeva la Genova silenziosa, dove ognuno si faceva i fatti suoi senza rompere le scatole ai personaggi famosi.
Abitò all’hotel Croce di Malta in vico Morchi vicino a Banchi, poi affittò un piano a Carignano nella splendida villa Sauli di via San Giacomo, e infine si spostò nella sontuosa villa del Principe residenza di Andrea Doria. I giornali raccontano i ripetuti successi delle opere del musicista. Verdi nel 1843 esordì col “Nabucco” e fu un trionfo per tutte le 35 repliche! Idem con i “Lombardi alla prima crociata”. La prima del Falstaff nel 1893 replicò un’ eccezionale accoglienza e il musicista ricevette dal sindaco Podestà una catena d’oro come regalo della città.
Tra gli aneddoti che riguardano il suo svernare genovese la passione di collezionare orologi che regolava osservando l’orologio del Carlo Felice che era famoso per essere puntualissimo. Ma anche la golosità per i dolci. Nella pasticceria Klainguti di piazza Soziglia è conservato un suo biglietto dove si complimenta per i “Falstaff” pasticcini che i fratelli svizzeri proprietari del raffinato locale avevano inventato proprio in suo onore. Gioie e dolori. La notte del 9 agosto 1894 il suo appartamento nella villa Doria Pamphili fu svaligiato. I ladri portarono via l’argenteria e anche una piccola cassaforte che si trovava nella camera da letto del musicista, avvolgendola nella fodera della poltrone e danneggiarono mobili antichi e suppellettili di gran valore. Verdi fu molto generoso con la città. Con un legato del 1900 lasciò 50 mila lire a alcuni istituti genovesi e nell’atrio della scuola materna di via San Bartolomeo degli Armeni una lapide ricorda tutte le donazioni tra le quali anche quella del compositore.
cultura
1971, giù la casa di Paganini che sognò invano la villa di Fabrizio
Il "Racconto di Genova", da vico di Gatta Mora cancellato alla casa di Colombo
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