cultura

I locali di via Archimede da sala spettacoli e concerti erano stati trasformati in redazione
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 Entrai per caso nella mia esistenza, fatta di giorni allegri e di continue esplorazioni, e trasformazioni dell’io. Ogni tanto dalla stiva del sottomarino giallo, nelle pause del tempo e della navigazione, spuntava qualcosa che non ti aspettavi. Il ritratto a olio del fondatore Luigi Pellas, accigliato e malinconico e severo, confinato in garage. Articoli scritti da collaboratori come Herman Melville o Joseph Conrad. Una firma di Eugenio Montale. E poi, nella stanzetta dei correttori, incorniciato ma appoggiato alla parete, il manifesto di un concerto del 30 maggio 1976. Tenuto in quello stesso spazio di via Archimede, che era ancora il cinema Andrea Doria e che due anni dopo avrebbe ospitato la redazione del più antico quotidiano d’Italia, dopo il fallimento degli editori Fassio e l’esilio dal “palazzo dei giornali” di via Varese.

Anche il cinematografo, tra i primi di molti nel centro città, chiuse. E arrivò la cooperativa di giornalisti e poligrafici. La biglietteria sarebbe diventata la portineria, la platea avrebbe ospitato prima le rotative e poi l’archivio, la galleria - debitamente soppalcata - sarebbe diventata per 37 anni una redazione. Dove c’erano le poltrone si sarebbero sistemati tastieristi, dimafonisti, impaginatori, il proto. Quindi l’ufficio del direttore, la sala della fotocomposizione e teletrasmissione, la sala riunioni, la saletta della nera piena di fumo, poi i due stanzoni, da una parte sport interni e spettacoli, dall’altra politica e bianca. In fondo, dove c’era stato lo schermo, e quanti film in effetti quella redazione avrebbe ospitato, la stanzetta dei correttori. Quella da cui era spuntato il manifesto del concerto.

Ci fu modo di ricordarlo all’artista molti anni dopo, in una saletta riservata dell’aeroporto di Brindisi dove si nascondevano lui e Manlio Sgalambro, la sera prima c’era stata una partita a Lecce mentre loro due avevano tenuto una conferenza a Gallipoli. Erano nascosti ma non troppo. E si arresero al loro ammiratore. Che provò a evocare il ricordo di quel concerto al cinema Andrea Doria di Genova, ai tempi di Mademoiselle Le Gladiateur, tre anni prima che arrivasse l’Era del Cinghiale Bianco. Il maestro ricordò, o forse finse di ricordare, disse qualcosa come: in quegli anni eravamo più numerosi sul palco a suonare che in platea ad ascoltarci.
Ecco perché noi reduci del sottomarino giallo, vecchi sommergibilisti del “Corriere Mercantile”, possiamo dire di aver lavorato nell’unico giornale del mondo dove abbia tenuto un concerto Franco Battiato. E adesso vorremmo tornare indietro per rivedere il passato, per comprendere meglio quello che abbiamo perduto.