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Lo Scudetto arrivò come un sogno che si realizzava e ora trent'anni dopo sembra di nuovo un sogno
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 Trent'anni fa, oggi, pensavamo a quarant'anni fa. A quando, usciti da San Siro dopo il gol di Chiorri, uno di noi aveva detto: “Il giorno dello scudetto, dallo stadio a De Ferrari una birra in ogni bar”. Ridemmo tutti, eravamo in B da quattro anni e ci saremmo rimasti ancora una stagione e mezza, chi pensava allo scudetto?, ma quella battuta non se la sarebbe scordata nessuno. Anche perché, cammina cammina come Pollicino, era diventata una speranza. Un sogno nel cuore.

Com'è andata lo sapete, il padrone del luna park ci aveva spinti gratis sulle montagne russe, e a pensarci bene quella frase sulle birre del 22 marzo 1981 era venuta fuori davvero in un luna park, quello tra l'antistadio e il palasport poi distrutto dalla neve. E sulle montagne russe non capivamo più niente, il tempo accelerava in suoni e colori, un calendario colorato che quando ti andava male perdevi una finale europea. L'impossibile era diventato normale e quindi non ce lo godevamo per come avremmo dovuto. Ed è questo uno dei rimpianti nei migliori anni della nostra vita.

Fino al 19 maggio 1991. Era tanto, tanto tempo fa: poi è già poi, sul portone non c’è più lei. La foto della Riviera Blucerchiata 1988 al termine della notte, staccionata dei Bagni Liguria di Sestri Levante (nella foto), ritrae una banda di comici spaventati guerrieri che avevano fatto due o tre volte, o forse più, avanti e indietro da Genova a Sestri e guardavano all'obiettivo senza poter vedere cosa sarebbe stato di loro di lì a poco, figuriamoci nel 2021, tra figli e qualcuno nipoti, e mogli e seconde mogli eccetera, piccoli equivoci senza importanza che decidono le vite. Uno oggi in Australia comanda navi da carico lunghe come dai giardini di Brignole a De Ferrari, uno ha un pullman grosso come quelli delle trasferte col suo faccione sulla fiancata e il suo nome è un'orchestra di liscio, due mandano avanti un ristorante, uno è in banca, uno quella notte a giorni avrebbe avuto un colloquio col direttore di un giornale per l’assunzione, uno giocava meglio di Flachi ma solo quando ne aveva voglia e gli assomigliava pure ma Flachi allora chi lo conosceva, uno infine non c'è più ed è un peccato davvero, se n'è andato senza manco poter salutare, scrivere il vento giocare un cavallo perdente scoprire il mare, a volte ci incontriamo sugli argini e ci contiamo e manchi sempre tu, ogni anniversario un cratere di cenere nel cuore se pensiamo a te, Pino.

Alla fine della partita ci eravamo trovati tutti fuori affacciati sul Bisagno, che non scorreva marrone come nei racconti di Edoardo Guglielmino ma era una pietraia riarsa, tutti lì perché la parola d'ordine della birra in ogni bar non l'avevamo dimenticata. E ci eravano davvero arrivati a De Ferrari, lasciamo perdere come, e poi perfino a San Pier d'Arena, nella piazza del Bar Roma dove dopo la guerra tutto era cominciato, e poi chi si ricorda più se non che eravamo molto felici o meglio credevamo di esserlo e quindi lo eravamo, trent'anni dopo sono fotogrammi, spezzoni, una bottiglia di Dom Perignon sepolta sul ciglio del Grand Canyon, una cena in un ristorante indiano di via Colombo per brindare a noi e ai privilegi della gioventù e a tutto quello che siamo e che eravamo e che saremo, un viaggio in treno a sporgerci dal finestrino salutando la gente alle finestre, un bacio in bocca a chissà chi, e poi di nuovo a Genova perché chissà se lo Scudetto l'avevamo vinto davvero, meglio tornare a controllare. E finalmente comprare a notte fonda, all'edicola di piazza Montano sotto il ponte della ferrovia, il foglio dove quello del colloquio sarebbe andato a lavorare. C'era scritto perfino sul giornale, allora era vero.

Per raccontare questa storia che non si può raccontare, ma solo aver vissuto oppure no, lo Scudetto della Sampdoria, l'unico metro possibile era quello della favola. Così tempo fa scrissi di un viaggio notturno, in compagnia di un gatto parlante, negli angoli inusuali di una città pronta a vestirsi di tricolore. Era un modo di eludere la cronaca divenuta storia, di sfuggire alla realtà nella speranza di riviverla. Non fu dato. E’ diventato un Natale di seconda mano, quel Natale alla fine di maggio: buonanotte, torna presto e così sia.

Proprio da quella notte tutto prese a sfilacciarsi, tanto che oggi il ricordo dà pena per la distanza
. E infatti non ne avrei scritto, però l'amico Maurizio me lo ha chiesto, e allora scrivendo ho cercato di buttarla in ridere, ma come accade a Canio nei Pagliacci si svela il vero volto sotto il velo della biacca. Così se penso a trent'anni fa mi dico che quello fu l'ultimo desiderio realizzato, attorno alla Sampdoria e forse in generale, e il prezzo lo avremmo cominciato a scoprire e pagare fin da un anno e un giorno dopo.

Da tempo guardare avanti è meno facile che voltarsi indietro e il difficile è capire in quale dei due modi si truffi meglio la malinconia. E allora, proprio in queste ore in cui si dissolve nell’infinito, nello spazio tra le nuvole, una stella di quel tempo che ci accompagnava con la sua musica, tra veder passare insieme soldati e le spose e una casetta piccola così con tante finestrelle colorate, un tempo felice forse perché eravamo giovani ma forse perché eravamo anche felici davvero, ripensando a trent'anni fa beviamo un sorso ancora di quel Dom Perignon dissepolto dal burrato in Arizona, e con un pugno di sabbia negli occhi miei, c'è più soltanto da dirsi: ed è bellissimo perdersi in questo incantesimo.