Anche se al grande pubblico è conosciuto soprattutto per ’Basic instinct’, Paul Verhoeven ha girato film molto migliori di quello che diede fama internazionale a Sharon Stone con la famosa scena-scandalo dell’accavallamento delle gambe. Scomodo e disturbante, il regista olandese non ha paura di affrontare temi controversi e ambigui e ‘Benedetta’, presentato in concorso, non fa eccezione. Anzi, in poco più di due ore e quasi completamente all’interno delle mura di un convento, è riuscito a racchiudere gran parte dei temi e delle ossessioni che hanno segnato la sua carriera: voyeurismo, sadismo, sistemi di potere, perversione, repressione, ironia e fede.
Ambientato nella Toscana del XVII secolo devastata dalla peste (e il riferimento non sembra casuale), il film segue la figura di Benedetta Carlini, una suora realmente esistita che sosteneva di parlare direttamente con Gesù, punita per essere lesbica riuscendo poi ad ottenere in maniera molto astuta addirittura lo status di Santa nella sua città, Pescia. La vediamo entrare in convento da bambina tra lo scetticismo delle suore che non credono alla sua beatitudine e la seguiamo – diciotto anni dopo - quando la propria reputazione cresce di giorno in giorno tanto che le viene offerto il ruolo di Madre superiora. Il che le consente, negli alloggi a lei riservati, di portare avanti un rapporto omosessuale con Bartolomea, una novizia che le fa da assistente, non impedendole comunque di continuare a parlare con Gesù e di mostrare alle consorelle stimmate e ferite da corona di spine sulla cui natura – divina o terribilmente umana – Verhoeven rimane ambiguo fino alla fine senza farci capire se Benedetta sia o no una ciarlatana.
Perché quello che gli interessa di più è sostenere come il sacro possa, o forse addirittura debba, essere trovato nel profano. Che importa se le ferite sono autoinflitte quando crede veramente che Dio le ha forzato la mano? In questo senso non è né una peccatrice né una santa, ma semplicemente una donna caparbia convinta del proprio racconto che usa il carisma e tutti gli strumenti a sua disposizione per lasciare il segno nel mondo. Il film, rabbioso vitale ed estremo, parla in definitiva di una donna che si fa strada verso il potere in un mondo dominato dagli uomini (vedi il Nunzio apostolico chiamato in convento dalla Madre superiora cui Benedetta ha preso il posto), trovando gradualmente la propria voce per raggiungere l'emancipazione. Il suo percorso è certamente visto attraverso una lente maschile e magari anche spudorata, dato il regista, ma questo racconto dove la fede e una certa intelligenza trionfano sulle false virtù ha un certo fascino soprattutto perché non fornisce mai una risposta univoca a tutte le nostre domande, lasciandoci da soli a decidere se crederci veramente o no.
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Festival di Cannes, con "Benedetta" lo scandalo arriva sulla Croisette
Presentato in concorso il film di Paul Verhoeven
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