Dieci anni dopo, il sole risplende sulle sciagure umane. Come in una leggenda yiddish, le vittime prendono vita nella parola dei sopravvissuti. Dal pozzo della memoria riaffiora l'incubo: corso Sardegna, Brignole, via Venti trasformate nei canali di una Venezia caricaturale e grottesca, la marea bruna a sommergere tutto, i sottopassi e le cavee dei negozi, nell’infuriare di sale o grandine come nel più abissale dei “Mottetti”. Ma il disastro era a nord, poche centinaia di metri in là. Il silenzio lacerato dalle sirene e dalle pale degli elicotteri, gli uomini rana a soccorrere corpi senza più anima, la condanna alla sopravvivenza dei superstiti, che a volte è una pena più dura della sparizione dal novero provvisorio dei viventi, dannati alla sanzione del ricordo.
Nel suo italiano malcerto e nostalgico, la nonna di Gioia e Janissa, nove anni in due, piccolissime italiane d'Albania, o albanesi d'Italia che è lo stesso, dice una verità straziante: "Dieci anni sono come dieci giorni, ringrazio Genova perché si ricorda delle mie bambine". Era una bambina poco più che ventenne anche la figlia Shpresa, uno dei sei fiori rosa, fiori di pesco sommersi dalla prima belletta di novembre.
Le donne e le ragazze rapite dall’angelo nero si aggirano ancora in via Fereggiano, con sguardi vuoti dolenti e interrogativi, se chiudi gli occhi le vedi, i loro profili sottili imparati sulle fototessere sono lo stigma del rimorso. I loro cani aspettano che tornino, i cani aspettano sempre, possono metterci tutta la vita, anche perché non sanno che la vita finisce e quindi nemmeno come finisce. Jim Morrison diceva: nessuno uscirà vivo di qui. Sì, ma c’è modo e modo.
Come in uno shtetl, le anime morte riprendono voce per bocca dei vivi. Rosanna Costa, madre di Serena, sillaba: "Quanti se. Ma con i se non si va avanti". Ci si consola pensando che il sacrificio di qualcuno valga a salvare altri. "Purtroppo ancora oggi tanta gente pensa che non sia importante l'allerta rossa. Invece meglio una allerta in più che magari serve a non far perdere un proprio caro come è successo a me". I bambini delle elementari di oggi non erano nati quando Serena moriva, raccontano in disegni un vuoto loro solo raccontato. "Loro non hanno vissuto quella tragedia ma hanno cercato di capire, è compito di noi adulti fargli comprendere quanto è pericolosa l'acqua e quanto può essere forte la natura".
Bennardo Sanfilippo ha perso la moglie Angela e la ritrova solo nel ricordo. "Era una mamma premurosa, ha tracciato il solco della nostra vita e della nostra famiglia, faceva tutto lei, è stata lei a farmi diventare un uomo. Ora riposa nella tomba di famiglia accanto al suo papà, mancato il mese prima e alla mamma morta un anno dopo, mancata per il dolore". Già, la cognizione del dolore. Gli anniversari sono un doloroso sollievo, perché poi di fronte al buio non c'è fratellanza lenitiva: "Il dolore è nostro, la sera chiudiamo la porta e ce lo teniamo per noi, quindi purtroppo non importa la vicinanza della città".
La verità è che la morte non si può raccontare, la sofferenza è un numero primo irriducibile, che non soggiace a traduzione. Angelo Toffi pensa alla sua Evelina che non ha potuto veder crescere l'albero della famiglia. "Il ricordo che rimane - dice - è quello della mancanza di una mamma per i miei figli, oggi a dieci anni da quella tragedia si sarebbe potuta godere il suo nipotino. I ragazzi avevano 18 anni, non è stato facile andare avanti con le nostre forze". Già, si nasce e si muore soli e il vuoto è contagioso.
Intanto, tra chi va e chi resta, ogni volta che il cielo stinge dall’azzurro al grigio al piombo, si guarda in alto nella disperata speranza di una misericordia oltremondana, mentre la pianola degli inferi da sé accelera i registri e sale nelle sfere del gelo. La fiammella della candela della memoria trema al vento cartavetrato dell’indifferenza e dell’oblio, che tutto avvolgerà; la voce del cuore tace e all’improvviso ritorna alla "morte per acqua" di Eliot, e sussurra: Gentile o giudeo, tu che volgi la ruota e guardi nella direzione del vento, pensa a Phlebas, che un tempo fu bello e ben fatto al pari di te. Così sia.
cronaca
Dieci anni dopo la morte per acqua, le anime parlano ancora: "Non dimenticateci"
I familiari delle sei donne, ragazze e bambine portate via dal Fereggiano impazzito
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