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Leone d’Oro a Venezia, racconta il calvario di una ragazza nella Francia degli anni Sessanta
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In Polonia è stato vietato all’inizio dell’anno salvo in caso di incesto stupro o pericolo per la vita della madre, lo Stato del Texas dall’1 settembre lo ha proibito dopo le prime sei settimane di gravidanza: sono solo due tra le decisioni più recenti che testimoniano come purtroppo ancora oggi, nel 2021, l’aborto rappresenti un tema scottante e un nervo scoperto in un dibattito che resta appassionato e controverso. Ecco perché ‘La scelta di Anne’ della francese Audrey Diwan che due mesi fa ha vinto il Leone d’Oro alla Mostra di Venezia è un film importante e perfino necessario.

Tratto da un libro di Annie Ernaux che racconta una traumatica esperienza personale, è ambientato nel 1963 quando in Francia – in mancanza di una legge che sarebbe stata promulgata soltanto dodici anni dopo – abortire significava andare in prigione. Protagonista è una giovane studentessa universitaria di una cittadina di provincia che si ritrova all'improvviso ad aspettare un bambino. Impossibilitata ad accedere all'aborto legale, senza dir nulla ai genitori chiede aiuto ai medici, alle amiche e al ragazzo che l’ha messa incinta fino a ricorrere a metodi pericolosi per interrompere questa gravidanza indesiderata. Non l’aiuterà nessuno ritrovandosi cosi completamente sola a gestire una situazione drammatica.

E’ un tema ovviamente che il cinema ha spesso frequentato in passato e talvolta con ottimi risultati. Penso per esempio a ‘Il segreto di Vera Drake’ di Mike Leigh (Leone d’Oro 2004) o a ‘4 mesi, 3 settimane e 2 giorni’ di Cristian Mungiu (Palma d’oro 2007) ma questo film è diverso e getta una luce nuova per come è costruito. Il primo merito di Diwan è di aver avuto il coraggio di mostrare il calvario di Anne in tutta la sua brutale realtà con i ferri da calza e le sonde introdotte nell'utero, immagini sconvolgenti che ci rendono consapevoli degli orrori che sono stati perpetrati (e in alcuni casi continuano ad esserlo) sui corpi delle donne.

Un film molto forte che si fissa nella mente dello spettatore. Senza discutere e senza giudicare, concentrandosi su quello che è successo piuttosto che creare una morale intorno ad esso, seguendo semplicemente la vita quotidiana della ragazza dal momento in cui attende invano l’arrivo del ciclo. In altre parole, ‘La scelta di Anne’ è raccontato attraverso il suo punto di vista, i suoi gesti, il comportamento con gli altri, il modo in cui cammina, lo scoramento che l’assale quando ogni soluzione che prova fallisce e perfino i silenzi che trasmettono più di ogni altra cosa lo sgomento con cui è costretta a fare i conti. A ciò si aggiunge l’orrore del tempo che passa visualizzato sullo schermo da sovraimpressioni che scandiscono le settimane una via l’altra. Che tutto ruoti intorno ad Anne è sottolineato anche da una scelta stilistica ben precisa, lo schermo molto ridotto rispetto a quanto siamo abituati a vedere di solito. Tecnicamente è un 1.37, in pratica qualcosa di poco più grande di un quadrato proprio per lascare quasi sempre soltanto lei in un’inquadratura che finisce per esserle quasi un cappio al collo dal momento che la regista vuole che nulla di tutto ciò che la circonda possa distogliere l’attenzione dello spettatore dalla protagonista.

Dunque la storia di un aborto clandestino ma non solo. Anche quella di una ragazza che scopre la libertà sessuale, il desiderio e la voglia di non lasciarsi intimidire o giudicare dalla società ma in definitiva pure un film politico affrontando il tema della differenza tra le classi sociali: Anne proviene da una famiglia operaia dove è la prima ad andare all'università, ambiente borghese per eccellenza, con codici e costumi più rigidi, e si muove avanti e indietro da un mondo all'altro mantenendo un segreto che potrebbe mandare in fumo tutte le sue speranze di futuro. Perché non è che lei non voglia un bambino ma non lo vuole in un momento nel quale un figlio le impedirebbe di finire gli studi con i quali può sfuggire al destino sociale della sua famiglia proletaria e affrancarsi dal proprio passato.

E’ il motivo per cui Anne, interpretata da una bravissima Annamaria Vartolomei in grado di trasferirci nell'universo empatico delle autentiche eroine tragiche, non è una vittima disarmata che suscita pietà ma una donna che si sottrae al suo destino e afferma il diritto a vivere la propria vita in un film che è un convincente promemoria di quanto nulla sia stato acquisito in questo campo e soprattutto un doveroso avvertimento per il contraccolpo che il movimento per i diritti umani sta subendo attualmente in alcune parti del mondo.