Vuol dire davvero “rinnovamento” eleggere un segretario di partito con l’attuale sistema delle primarie usato dal Pd? Penso di no, perché queste primarie non sono regolamentate, ma diventano una sorta di referendum dall’altissimo tasso di variabilità.
A votare per l’uno o per l’altro o per l’outsider ci può andare chiunque, soprattutto ci può andare chi con il Pd non ha niente a che fare. E questo snatura la scelta. Se il Pd è un “partito” deve regolarsi come un partito, moderno, aperto, ma pur sempre partito. E allora il segretario deve essere scelto da chi sta dentro questo oggetto politico, da chi lo vive tutti i giorni o da chi, per lo meno, pur non vivendolo direttamente sente di dovere aderire ma formalmente, cioè con un’iscrizione.
Se, invece, il Pd non è un partito (ma allora perché si chiama così?), se è un’entità “liquida”, che si allarga e si restringe, senza confini e regole, allora libera scelta. Le primarie dovrebbe servire a indicare dei candidati, sia per le elezioni, sia per i vertici dirigenziali. Ma la parola definitiva dovrebbe spettare a chi si assume (standoci dentro) le responsabilità di una gestione politica, ne gode se tutto va bene (se vince le elezioni) e se ne va se le cose vanno male (se le elezioni le perde).
Il rinnovamente si può fare lo stesso, stando dentro l’oggetto. Fare tutto da fuori, da signore della società civile è comodo e non costa niente in termini di responsabilità politica. E’ comodo perché si ha sempre l’alibi di dire, con modulabile disgusto: “Lì non si riesce a cambiare niente perché sono sempre gli stessi a comandare”.
IL COMMENTO
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