La sanità ligure è arrivata al capolinea. Dopo anni di gestione slabbrata, con sprechi, doppioni di reparti e di primariati, liste d’attesa interminabili e spesso indecenti, fughe di pazienti non più all’estero, ma nel basso Piemonte dove sono già scappati alcuni bravi professionisti nostrani, disgustati da una sanità che troppo spesso ha pensato alle tessere e alle amicizie politiche piuttosto che alla capacità dei medici, ora allarga le braccia e di fronte ai drammatici tagli di finanziamenti governativi risponde: non sappiamo più che cosa fare. Cittadini mettete mani al portafogli.
Le responsabilità di questo disastro che ha colpevoli con nome e cognome non è solo di questa giunta, ma almeno va indietro di dieci anni e quindi coinvolge il centro sinistra e anche la passata giunta di centro destra.
A Genova la situazione è più acuta: sotto accusa il direttore della Asl 3 che ora sta diventando il capro espiatorio di errori anche di altri a cominciare dai vertici regionali. La mancata realizzazione di un moderno ospedale del ponente ha fatto sì che i servizi della 3 venissero sparsi sul territorio con un sistema assolutamente irrazionale e antieconomico. Ora pensare di tagliare la testa a cinquanta primari e cinquanta dirigenti è un pannicello inutile e demagogico. Bisognava pensarci prima e non raddoppiare le unità laddove erano inutili solo per dare il contentino a qualcuno.
Via i primari, restano le strutture che costano.
La sanità ligure, come sussurrava ieri un noto professionista della medicina, è in mano a una decina di feudatari, tutti politici, che difendono le loro contee dove hanno i collegi elettorali, da Pietra Ligure a Savona, da Voltri alla repubblica atonoma della Spezia.
Raddrizzare oggi questa situazione ormai incancrenita è impossibile.
Quindi ecco la prima soluzione: aumentare le tasse. Ma forse i cittadini vogliono, prima, sapere se saranno ancora curati o dovranno rivolgersi alla madonna della Guardia.
IL COMMENTO
Come si controllano le acque superficiali in Liguria
Che tristezza la politica che non vuole la sanità