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chi i boschi li vive ha deciso di dire no con un ricorso al Tar dopo la manifestazione di sabato 19 febbraio, organizzata dal coordinamento popolare "Boschi per tutti" insieme all'associazione Rudebikers Genova
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di Au. B.

GENOVA-Erano scesi in piazza in abbigliamento sportivo armati di caschetto e bicicletta. Parte da Genova il primo ricorso al Tar contro il lockdown dei boschi deciso dopo lo scoppio della peste suina in 114 comuni tra Liguria e Piemonte. 

L'ordinanza ministeriale indetta dopo i primi casi ha infatti delineato nuove regole che "chiudono" l'entrata nelle zone boschive dei comuni che rientrano nella "zona infetta", la zona rossa del virus. Altamente trasmissibile e letale per cinghiali e suini: non rappresenta un pericolo né per altre specie animali né per l'uomo che però può essere un veicolo di contagio, con vestiti, ruote di macchine o biciclette, mettendo così a rischio l'economia suinicola italiana.

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Ma chi i boschi li vive ha deciso di dire no con un ricorso al Tar dopo la manifestazione di sabato 19 febbraio, organizzata dal coordinamento popolare "Boschi per tutti" insieme all'associazione Rudebikers Genova che si è tenuta simbolicamente davanti alla sede di Regione Liguria. A predisporlo sarà nei prossimi giorni l'avvocato genovese Gerolamo Taccogna. Intanto continuano ad aumentare le carcasse positive al virus, ieri un nuovo caso è stato riscontrato a Ronco Scrivia.

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Il ricorso, che sarà depositato entro la prima settimana di marzo, ha come obiettivo quello di contestare la proporzionalità delle misure adottate: "In base al principio di proporzionalità - spiega il legale - i provvedimenti di natura amministrativa possono limitare i diritti e le libertà dei cittadini solo nella misura in cui ciò risulti indispensabile per proteggere un interesse pubblico e il fatto che si chiudano tutti i sentieri quando è evidente a tutti che i cinghiali non solo stanno sull'asfalto delle alture ma in mezzo alla città rende questi provvedimenti quantomeno eccessivi".

Obiettivo del ricorso non sarà quello di chiedere un annullamento della norma né una sospensiva, entrambi difficilmente perseguibili a breve termine secondo l'avvocato, bensì quello di ottenere un "remand", vale a dire "un rinvio dell'ordinanza all'istituzione che l'ha prodotta affinché valuti misure più contenute e proporzionali alla situazione". Per esempio appunto "una riduzione della zona infetta ma anche la possibilità di percorrere i sentieri rispettando determinate prescrizioni a cominciare dalla disinfezione delle scarpe". Il ricorso sarà presentato di fronte al Tar del Lazio, visto che l'ordinanza regionale è conseguente a quella emanata dal ministero della Salute, che ha definito i confini della cosiddetta 'zona infetta' e a quella interministeriale che definisce i divieti di ogni tipo di attività, dalla caccia alla raccolta funghi alle semplici passeggiate sui sentieri.

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