E’ solo una quota del 15 per cento, ma è un passo già lungo sulla pista dell’aeroporto che si chiama “Cristoforo Colombo”. GianLuigi Aponte, 83 anni, napoletano-svizzero, uno degli uomini più ricchi del mondo (nell’ultima settimana ha inaugurato sei nuove linee transoceaniche per le sue navi cargo), uno che guadagna 140 milioni di dollari al giorno, ora è volato nel cielo della ex Superba, prenotando la quota che era di proprietà degli Aeroporti di Roma, azionista di maggioranza, i Benetton.
E’ solo l’ultimo blitz del “comandante”, che ha interessi in tutto il mondo grazie ai suoi traffici della flotta Msc, da crociera e container e agli altri affari prevalenti nel settore infrastrutturale, in una città che un po’ per caso, un po’ per strategie sta incrociando il suo destino con quello di questo ex capitano di nave, riservato, fedele alla sua famiglia e ai valori chiave, che si è costruito un gruppo gigantesco, guidato da mani ferme e da uomini, manager ed anche amici fidati, legati come da un vincolo di sangue.
Solo una settimana dopo essere arrivato a Genova per essere interrogato come testimone nella inchiesta bomba che sta scuotendo non solo la città Aponte ha mosso la pedina dell’aeroporto, che non a caso è presieduto da Alfonso Lavarello, un supermanager, genovese di nascita, che è diventato il suo vero ponte con la città.
Mossa imprevista, anche se Lavarello è al vertice del “Cristoforo Colombo” da qualche mese ed ha già dato le carte per trasformare il ventesimo aeroporto italiano in un hub importante per passeggeri e merci, giocando la partita sui quasi quattro milioni di passeggeri delle crociere che transitano per Genova.
E le crociere, che partono e arrivano nel porto della ex Superba, sono sopratutto Msc e anche Costa Carnival.
Se due più due fa quattro il gioco dell’aeroporto, nel quale l’operazione Aponte è probabilmente solo ai primi passi, sembra chiaro. Come sembra chiara la centralità di Genova nel gioco Msc, che ha sbocchi portuali in tutto il mondo, ma che vede in Genova oggi qualcosa di importante su cui investire.
La città è, infatti, in una fase di transizione infrastrutturale a dir poco epocale. E Alfonso Lavarello è l’uomo giusto per intercettare questo cambiamento, con alle spalle il “comandante”, di cui è amico da decenni. Nato da solide radici genovesi, imparentato con famiglie come Dufour e Ravano ( si picca di avere a Genova qualche centinaio di cugini di primo grado in queste Dinasty di grande potenza nel secolo scorso, oggi meno….) è un manager mondiale con esperienze uniche negli affari che ha fatto ad ogni latitudine o quasi, diventando prima l’uomo di fiducia degli Emiri arabi quando nessuno annusava il potenziale di quelle casate nel deserto, tra palme e pozzi di petrolio e poi l’amico fidatissimo di Fidel Castro, che con lui ha turisticizzato Cuba e aperto questa isola dalla storia così pesante e impegnativa non solo alle navi, ma anche alle importazioni dei prodotti occidentali.
Tornato a Genova, da cui era partito e poi tornato con esperienze chiave nella flotta Costa e nelle grandi aziende fornitrici di bordo come Zerbone, Lavarello si è trovato al posto giusto nel momento in cui la prua dell’altro suo comandante dopo Fidel, Aponte, puntava sulla Superba.
Aponte è diventato terminalista nelle banchine genovesi, socio di Messina, armatori e terminalisti, socio di Spinelli dopo una complicata mediazione made in Lavarello non a caso, e ha invaso i moli del grande porto storico con le sue navi da crociera e con i portacontainer.
Silenzioso e riservato questo personaggio che vive a Ginevra e da li muove i propri interessi sul mappamondo, circondato dai suoi fedelissimi, è diventato una specie di plenipotenziario della città che ne ha assorbito gli affari in una fase del suo sviluppo tutto concentrato sul lancio delle grandi opere pubbliche intorno alle banchine, la nuova diga foranea decisiva per far arrivare le grandi navi lunghe quattrocento metri, il tunnel subportuale per agganciare meglio il traffico verso il dedalo della mobilità genovese, stretta tra il porto e la montagna, con i valichi ferroviari da rimodernare e rendere più veloci.
Caduta la capitale dell’Iri, che era Genova del secondo Dopoguerra, la città ha per forza scommesso sul porto finalmente privatizzato, scaricato dei monopolii degli storici “camalli”, quelli dei ganci con cui afferrare i sacchi di merce, ma anche con cui difendersi dalla polizia di Scelba nel 30 giugno del mitico 1960. Caduta la pregiudiziale comunista da “Roccaforte rossa” che era politicamente questa città in declino demografico e industriale, la nuova strada politica è finita, anche in questo caso un po’ per coincidenze fortunate, nelle mani del centro destra di Giovanni Toti, il presidente oggi arrestato per corruzione, ma che continua a governare la regione dai domiciliari, come se l’indagine giudiziaria per corruzione fosse un incidente, solo l’ultimo tra politica e magistratura.
Nella strada asfaltata dai business della nuova potenzialità infrastrutturale, nelle nuove rotte mondiali, tra assalti di pirati nel Mar Rosso e ghiacci che si sciolgono nelle nuove rotte navali artiche, in questo mix di coincidenze politico-finanziarie, Aponte è arrivato al momento giusto.
Poteva puntare altrove, ma Genova deve essere apparsa al suo fiuto una occasione da cogliere subito, come una pedina di un grande scacchiere nel quale le mosse si alternano.
E così anche grazie alla arguzia e alla velocità professionale di uno come Alfonso Lavarello i passaggi genovesi si sono moltiplicati con una rapidità sorprendente.
E Aponte si è comprato uno degli storici e più sorprendenti blasoni genovesi, “Il Secolo XIX”, la storica testata che era stata dei Perrone, quando i Perrone erano i padroni dell’Ansaldo, la Fiat del secolo diciannovesimo, il giornale dei liguri, passata nelle mani della Gedi di Jhon Elkann, non a caso amico personale di Diego Aponte, figlio prediletto del “comandante”.
Operazione che ha lasciato di stucco il morente mondo editoriale italiano e che a Genova sta ancora suscitando vespai incontrollabili di attese e polemiche. Ma anche operazione che ha piazzato Aponte e il suo uomo di fiducia in una posizione talmente centrale da scatenare attese spesso incontrollate, sopratutto di una classe dirigente, politica e imprenditoriale, assolutamente impreparata a tali sconvolgimenti.
L’inchiesta giudiziaria, che ha portato in carcere o agli arresti non solo lo stesso Toti, ma anche Aldo Spinelli, il socio di Aponte nel terminal più importante delle banchine genovesi e l’ex presidente del porto, Paolo Emilio Signorini, un ex oscuro dirigente statale ubriacato dalla vicinanza con i potenti del porto e coinvolto altri pezzi di potere imprenditorial-burocratico regionale, è capitata proprio nei giorni dello scacco matto di Aponte alla città.
Ma non ha fermato niente, semmai solo un po’ complicato il lavoro da tela di ragno di Lavarello con le autorità amministrative e politiche genovesi e romane per costruire un assetto logistico che supportasse il rilancio dell’aeroporto.
L’area dello scalo e quelle vicine dell’ex Italsider e Ilva sono una specie di Eldorado per chi traffica nel mare del mondo crociere e dei container e cerca spazi di retroporti prossimi al mare.
Uno spazio immenso a disposizione in riva al Mediterraneo, solo penalizzato dai ritardi infrastrutturali italiani e anche liguri, che non riescono ancora a collegare più velocemente questo porto con l’immenso entroterra, che non è solo quello padano, ma che arriva alla Svizzera grazie ai trafori alpini che gli elvetici hanno saputo scavare velocemente e dell’intero sud Europa, più raggiungibile per questa strada che dai grandi e voraci porti nord europei.
Di fronte a questo tornado la Genova della politica e dei residui affari ( la città è in svendita, ha perfino venduto a Aponte e alle sue società la flotta dei rimorchiatori in una resa totale e ancestrale) balbetta. O si arrende.
Le autorità costituite avevano già sventolato bandiera bianca tre anni fa quando la potenza di Aponte si profilava, andando a riverire il comandante nella sua capitale ginevrina.
Presidente di Regione, Giovanni Toti, sindaco, Marco Bucci e presidente del porto, Paolo Emilio Signorini si erano fatti portare in aereo da Alessandro Garrone, erede dell’unica, o quasi, grande dinastia imprenditoriale genovese rimasta integra, a casa del “comandante”. Avevano fatto come quel doge che ai tempi dei fasti della Repubblica di Genova era andato a inchinarsi a Re Sole a Parigi.
Quel gesto non aveva neppure sollecitato reazioni in un mondo politico che stava mutando la roccaforte rossa in un dominio del centro destra, colorato dalla Lega e dalle liste civiche, pronti tutti a inchinarsi al nuovo Doge.
Troppo ripiegata su se stessa la sinistra, spezzata dalle sconfitte in sequenza, priva totalmente di leader.
Troppo rassegnati in una resa totale gli imprenditori, impegnati a fare affari con la vendita dei loro asset.
Oggi, qualche anno dopo, durante l’atterraggio di Aponte sull’unica pista semideserta del “Cristoforo Colombo”, la situazione non è cambiata. E in più c’è il processo in corso e una regione governata dall’interno degli arresti domiciliari da Giovanni Toti.
Il tema che domina è solo se una volta riottenuta la libertà, tra un mese o fra tre, il presidente si dimetterà o no. Intanto magari Aponte si compra pure la Lanterna.
Aponte atterra anche sull’Aeroporto. Genova ha un nuovo Doge e non lo sa
7 minuti e 29 secondi di lettura
di Franco Manzitti
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