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di Franco Manzitti

GENOVA - Quel cinghiale che arriva sulla spiaggia di Sturla e assale una signora di 58 anni, che aveva appena finito di mangiarsi una pizza in riva al mare e le addenta un braccio, segna un confine. Attenzione, c’è un’altra Genova sotto quella delle grandi opere che sembrano occupare tutto l’orizzonte. Il Water front di Levante di Renzo Piano e le sue affascinanti visioni dell’acqua che riconquista spazio e regala vita. La Grande Diga messa in discussione per il suo costo così salito. Le infrastrutture in costruzione, come il Terzo Valico, il Nodo ferroviario, la metropolitana, lo sky tram, Erzelli, la grande scommessa sotto il cielo più bello di Genova. Il ribaltamento a mare della Fincantieri a Sestri Ponente, l’Hennebique con quei fiumi sotterranei che lo hanno incatenato nella sua possibile ricostruzione. Il nuovo Ospedale Galliera, la Funivia dal Porto Antico a Begato. 

Potremmo continuare, ma quel morso di cinghiale ci ricorda che non si può perdere di vista quell’altra città, che bolle sotto le grandi visioni, scommesse, speranze del futuro più o meno prossimo.

Intanto ci sono 15 mila cinghiali che scorrazzano sul bordo dei nostri confini verdi e oramai sfondano, entrano, scendono, invadono, ora addirittura assaltano e sono una presenza costante del nostro panorama. Non sono stati fermati: prima c’era il lock down, poi è arrivata la peste suina e gli invasori si sono moltiplicati. Come fermarli?

E poi ci sono le bande di minori, le minigang, che imperversano non solo a Quinto, ma in tanti altri quartieri della città, sfidandosi nelle notti estive in vere battaglie, un inedito assoluto per una città tranquilla, dove il problema notturno era sempre stato concentrato nella movida del centro storico, che faceva tremare solo i caruggi.

E poi ci sono gli episodi violenti come quello di Circonvallazione a Monte, dove una vera battaglia entica è scoppiata tra giovanissimi rifugiati in una delle zone più tranquille dei quartieri borghesi per definizione. In cima a salita San Rocchino, tra un convento di suore e una palazzina che i proprietari avevano affittato a un cooperativa solidale per ospitare, appunto, minori rifugiati.

E così, in questo piccolo angolo riservato della Genova più understatment che ci sia, passo dell’Acquidotto, corso Armellini l’Ospedale Evangelico, è esplosa una miccia di violenza mai vista, neppure quando i black bloc del G8 scorrazzavano, incendiando le macchine intorno a Piazza Manin.

E il serpente della violenza ha incominciato a strisciare un po’ ovunque, rapine a Brignole, proteste nella zona del Molo, dove molti ragazzi minori non accompagnati sono stati sistemati nella storico Massoero e poi quel Levante  dove si è spostata quella che adesso chiamano la “mala movida”.

In questo contorno l’emergenza dell’accoglienza suona forte perché i disagi nascono da come viene gestita in una catena di solidarietà che Genova ha nella sua nobile tradizione, ma che ora deve fare fronte a numeri mai visti, non solo di minori, come urla da tempo don Martino, il sacerdote, delegato dal vescovo Marco Tasca  a gestire i migranti per la Chiesa genovese.

La trincea numero uno della città è allora quella che da qualche settimana deve presidiare il nuovo assessore ai Servizi Sociali, Lorenza Rosso, avvocato di tante competenze, che Bucci ha scelto per il ruolo sicuramente più impegnativo nella prospettiva dei tempi duri che stanno per arrivare.

Genova è anziana, sempre più rarefatta nei suoi nuclei famigliari, nei quali i single di ogni età, ma soprattutto di quella più avanzata, stanno raggiungendo il numero delle famiglie. Prevalentemente è una città di donne, anziane e sole.

Allora il vecchio progetto che la giunta di Beppe Pericu, l’indimenticabile grande sindaco, e l’assessore di allora, Alberto Veardo, avevano incominciato a costruire per un Piano Regolatore Sociale, coalizzando tante competenze e tante spinte di solidarietà delle quali Genova è piena, dovrebbe essere ritirato fuori dai cassetti. O riscritto sulle esigenze di oggi.

E’ giusto che si spinga sull’ottimismo del fare, sulle grandi opere che cambiano il mood della città, sugli investimenti che chiamano altri investimenti e attraggono e trasformano una città troppo ferma per decenni. Come fa il sindaco Bucci.

Ma guai a dimenticarsi della città dei deboli, dei fragili.

Quel cinghiale che morde a Sturla e quella violenza che serpeggia nelle strade, perfino nei quartieri più tranquilli di una estate di fuoco in tutti i sensi, l’epidemia che “brucia” ancora, e come,  sono segnali che vanno raccolti in tempi così duri come quelli che viviamo.

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