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di Mario Paternostro

Ieri “Quotidiano sanità“ ha pubblicato e messo a confronto i progetti di cambiamento della sanità pubblica nazionale presentati in questa campagna elettorale flash dai vari gruppi/partiti, dalla Destra alla Sinistra, passando per il Centro. L’aspetto positivo, rileva il giornale, è che tutti hanno capito che la sanità va riformata subito, di corsa, e pesantemente. Tutti ribadiscono la necessità del cambiamento basato sul rilancio alla grande della sanità territoriale, sistematicamente devastata da tutti coloro che sono stati al governo del Paese nell’ultimo ventennio.

Tutti. Nessuno escluso. A cominciare da Berlusconi al grido di efficienza, privato è bellissimo! passando per Monti il tagliatore seriale e finendo con Pd e Cinquestelle incapaci di affrontare una questione così drammatica e urgente. Il risultato, ahimé, lo abbiamo verificato sulla nostra pelle con la pandemia di Covid: impreparazione politica, assenza di sostegno sul territorio, ma soprattutto medici e infermieri insufficienti, sfruttati e mal pagati. Quanti medici ho intervistato in tv, alcuni anni fa inascoltati quando denunciavano la cronica carenza di camici bianchi, anche nella nostra regione. Dai “martiri” dei pronto soccorso agli anestesisti.

Che ora tutta la politica abbia scoperto la importanza strategica della sanità nel suo complesso è un bene.

Tutta la politica sembra d’accordo sui grandi temi: spalmare la sanità sul territorio, rimpolpare urgentemente medici e infermieri, agire con forza sulla riduzione delle immense e eterne liste d’attesa, per cui fissare un intervento di routine oggi è ipotizzabile solo se l’interessato possiede una buona aspettativa di vita. D’altronde nel Regno Unito, Johnson aveva programmato lo smaltimento delle attese in dieci anni!

Leggendo nel dettaglio i singoli programmi emergono, logicamente, differenze. Per esempio i Cinquestelle puntano anche molto sull’eliminazione delle ingerenze politiche nelle strutture sanitarie e chiedono una riforma del Titolo V con un maggior potere dello Stato sulle Regioni, mentre il centrodestra ipotizza una nuova politica delle convenzioni tra sanità pubblica e privata con una forte collaborazione nella certezza dei tempi di cura. Cioè un massimo di 60 giorni poi si va col privato convenzionato senza spese s’intende.


Sarà decisiva semmai si farà una riforma dei medici di famiglia, forse uno degli aspetti più delicati della nuova sanità italiana. La vogliono tutti, così come un nuovo ruolo più attivo delle farmacie.


Per tutti questi motivi, diventa urgente nel prossimo rimpasto nella giunta regionale della Liguria lasciare la fase dell’emergenza Covid che aveva visto (giustamente) la Sanità fino a oggi nelle mani del presidente e passare a una fase di “ricostruzione”, affidando l’assessorato più “costoso” (in tutte le Regioni, sia chiaro) a un assessore ad hoc. Ma di alta qualità organizzativa. Insomma uno che sappia di salute pubblica più che di vita del suo partito che a un paziente oncologico magari in attesa di una Tac non frega niente.


Subito dovrà affrontare la questione della ripresa dell’assistenza ordinaria, agendo sia sulla riduzione delle liste di attesa che sulla tradizione ligure delle “fughe” (ma dove ormai?) in altri luoghi del nord ovest.
Toccherà al governatore Toti questa scelta difficile, ma non più rinviabile. La salute non può adeguarsi ai tempi della politica e ai suoi rituali.