Tempi veloci, costi certi e trasparenti. Dovrebbe essere la normalità, invece in Italia è una eccezione. Si è concretizzata per la totale demolizione del ponte Morandi, miseramente crollato al prezzo di 43 vittime, e per la costruzione del ponte San Giorgio. In quindici mesi si è fatto tutto. Una cosa mai vista alle italiche latitudini, al punto che questo modo di procedere ha preso un nome ormai conosciuto da tutti: "Modello Genova".
A questo ho pensato l'altro giorno, assistendo all'insediamento del nuovo governo guidato da Giorgia Meloni, la prima donna premier del nostro Paese, anche se lei vuole essere chiamata "il" presidente e non "la" presidente. Una questione lessicale, che però pone una questione di sostanza. Come il tema sollevato da Mario Paternostro, che su questo stesso sito, con l'arma dell'ironia, dice quanto possano essere confuse le idee anche se l'argomento, il Ministero del Mare, è maledettamente serio.
La confusione regna sovrana anche a proposito del "Modello Genova", che secondo alcuni non sarebbe riproponibile su scala nazionale. Al di là di ogni considerazione, tutto si ridurrebbe poi al fatto che nel provvedimento alla base della procedura e della nomina a commissario del sindaco Marco Bucci viene utilizzata una locuzione fatale: "... al fine di garantire, in via d'urgenza (il grassetto è di chi scrive il testo originale, ndr), le attività per la demolizione, la rimozione, lo smaltimento e il conferimento in discarica dei materiali di risulta, nonché per la progettazione, l'affidamento e la ricostruzione dell'infrastruttura e il ripristino del connesso sistema viario, ... è nominato un Commissario straordinario per la ricostruzione".
Secondo molte anime candide, l'urgenza non può diventare la normalità. Dunque, niente "Modello Genova" per l'Italia. Il problema, però, è che da noi la mancanza di normalità è esattamente un'urgenza. Verrebbe da dire, anzi, l'urgenza delle urgenze. Se, dunque, davvero il presidente Meloni vuole imprimere una svolta, entro i famosi primi cento giorni dovrebbe tradurre su base nazionale il "Modello Genova". Ci sono già degli studi in proposito: se questo avvenisse, si sbloccherebbero dai cinquanta ai cento miliardi - sì, avete letto bene! - di lavori infrastrutturali, con tutti gli annessi e connessi. Per un Paese che ha fame di crescita economica, pardon una Nazione come dice Meloni, non sono bruscolini.
Naturalmente, anche Genova e la Liguria ne trarrebbero beneficio. Penso alla Gronda, piuttosto che al raddoppio ferroviario Andora-Finale. Ma penso anche al ponte sullo stretto di Messina, un'infrastruttura spesso oggetto del dileggio politico o dei timori sulle possibili infiltrazioni mafiose e che, invece, dimostrerebbe le capacità italiane di realizzare opere dell'ingegno umano. Esattamente come è avvenuto per il San Giorgio. Ma senza il rigore sui tempi, sui costi, sulla burocrazia e sui controlli possibili grazie al "Modello Genova", quel ponte sullo Stretto possiamo solo sognarlo.
IL COMMENTO
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