Il destino dell'azienda spezzina Oto Melara riaccende i riflettori sull'industria strategica italiana. E ancora una volta mostra come il governo di turno, adesso quello guidato da Mario Draghi, sia pronto a disfarsi di un pezzo di Paese in nome di un europeismo che sembra essere soltanto nostro. Sì, perché quando ci abbiamo provato noi a prendere dei gioielli altrui, vedi le tedesche Opel e prim'ancora Deutche Telekom, o più recentemente i cantieri navali francesi Saint Nazaire, è andata a finire che siamo stati brutalmente respinti.
Adesso sta per ripetersi la storia che ha portato tanti marchi, sia del Made in Italy che tecnologico, in mani straniere. Per la Oto Melara, importante azienda militare che appartiene al gruppo Leonardo, si sono fatti avanti i franco-tedeschi di Knds, sembra con una offerta che si aggira intorno ai 650 milioni.
L'idea della cessione nasce dal fatto che Leonardo ha deciso di rivedere il perimetro del proprio impegno nel settore militare, ritenendo Oto Melara non più strategica. Mentre lo sarebbe di più la tedesca Hensoldt, leader in Germania nell'elettronica per la difesa, con particolare riferimento ai sistemi di prossima generazione e alla guerra elettronica.
In pratica, Berlino cederebbe un pezzo del proprio know-how nelle tecnologie avanzate (c'è un accordo per far entrare Leonardo con oltre il 25% in Hensoldt) per prendersi un vecchio operatore militare come Oto Melara, che produce cannoni, carri armati e altri sistemi per la difesa e che entrando in Knds potrebbe produrre un nuovo carro armato con un mercato potenziale di almeno dieci miliardi. Proprio questo avrebbe suscitato l'entusiasmo del presidente francese Macron e della cancelliera tedesca Merkel, stuzzicando anche il nostro premier.
Ora, tutto andrebbe bene se non fosse per due cose. La prima: in questo disegno ci mettiamo più degli altri, solo che poi non saremmo noi a menare la danza. Secondo: non è che per Oto Melara non esistono alternative, perché c'è invece la concreta possibilità di costituire un polo fra l'azienda spezzina e il nostro campione nazionale della navalmeccanica, Fincantieri. Che costruisce navi da crociera ma anche da guerra e le cui strategie, dettate dal numero uno Giuseppe Bono, mirano sempre più a fornire dei prodotti completi.
Non è un caso, dunque, che il governatore ligure Giovanni Toti si sia espresso a favore di questa soluzione: "Tanta tecnologia e tanto delicata deve rimanere saldamente in mani italiane. Possiamo farlo, facciamolo". Toti parla il linguaggio del buon senso, che però non sembra appartenere ai nostri governi quando c'è di mezzo Leonardo. Che poi è la vecchia Finmeccanica.
Piazza Monte Grappa era una conglomerata che costituiva una spina nel fianco di tutto il mondo industriale, al di qua e al di là dell'Atlantico. Bene, anzi male: prima sono state cedute praticamente tutte le attività civili (con le genovesi Elsag, Ansaldo Energia e Ansaldo Signal in prima linea), poi è stata indebolita la linea militare, con scelte cervellotiche, solo in apparenza volte a rafforzare la nostra presenza nel settore.
Lasciamo da parte le ruggini personali che sembrano guidare i timonieri di Finmeccanica-Leonardo (ultimo l'attuale amministratore delegato Alessandro Profumo) nei confronti del capo di Fincantieri (che evidentemente ha avuto il torto di stare alla guida di Finmeccanica, quando divise il timone con Alberto Lina), ma com'è che le cancellerie che oggi hanno posato gli occhi su Oto Melara sono le stesse che a suo tempo hanno fatto il diavolo quattro pur di smembrare Finmeccanica? Appunto Parigi, Berlino e Londra.
Difatti nella partita per l'acquisizione di Oto Melara ci sono anche la francese Thales e i britannici di Bae Systems. Tutti attratti dalle produzioni dell'azienda spezzina. Possibile che gli scemi siano loro a voler comprare e i furbi noi che vogliamo vendere? Più probabile che abbia ragione Toti e che nel resto d'Europa non sia propriamente ben vista l'eventualità che l'Italia rafforzi il suo posizionamento nella cantieristica navale, sia essa civile e militare.
Se Fincantieri acquisisse Oto Melara diventerebbe, almeno in parte, ciò che a suo tempo fu Finmeccanica. Su questo punto, come la pensino Parigi e Berlino (e pure Londra, sebbene oggi non faccia parte dell'Ue) lo sappiamo benissimo. La cosa buffa e triste è che Roma tenga loro il sacco aperto.
IL COMMENTO
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