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di Stefano Rissetto

Bisognerà pur dire che il ritiro del numero di maglia nel calcio è innanzitutto non un tributo ma un sopruso. Commesso sia verso il passato che nei confronti del futuro. Nel primo caso perché si cancella il segno lasciato da colui che pure si intenderebbe omaggiare, nel secondo escludendo la possibilità che qualcuno riesca a onorare il destinatario facendo meglio di lui.

Diciamolo. E’ un’americanata che discende da un’altra americanata, ormai trentennale: la numerazione fissa con il cognome, la facoltà di scavalcare l’algebra per sconfinare nell’egolatria. In passato accadeva soltanto alle rassegne planetarie e continentali per Nazionali, squarci di dadaismo che partorivano l’1 di Ardiles centromediano, il 2 e il 5 e l’8 di Tomaszewski e Pumpido e Jongbloed tutti portieri, il mistico 14 di Cruijff che però lo dismise in Catalogna.

Proprio l’autodisciplina del geniale sefardita olandese, ligio ad adeguarsi alle regole del suo club, indica una strada. Che porta al futuro attraverso un recupero ragionevole del passato. E’ spaesante vedere calciatori con numeri multipli dei classici undici, fino al 99 massimo consentito; e allora perché non oltre, a tre cifre, oppure un infinito?

Ci sono casi arguti, che varrebbero la deroga: il 14 del portiere Fortin, Gatti del Perugia che prese il 44, un Trentini con il 33 questo però nel basket. Tuttavia qui siamo appunto nel divertimento.

Si è riparlato qui, nei giorni scorsi, di ritirare il 9 della Sampdoria in onore a Vialli. Proposta più condivisibile di quella che aveva portato alcuni a chiedere la cancellazione della 10, quando Mancini se n’era andato alla Lazio, prendendo tra l’altro il 10. Non se ne fece nulla per fortuna, anche perché dopo due 10 poco fortunati (Morales e Ortega) arrivò Flachi a prendersi e a far risplendere quel numero.

Però i numeri non si dovrebbero cancellare, mai. In questa logica di spettacolo, un po’ corrida un po’ telequiz, cominciò il Milan berlusconiano con le revoche onorifiche: il 6 di Baresi, il 3 di Maldini. Da lì il diluvio, con qualche fortunata distinzione: a Napoli nessuno ha più preso il 10 azzurro di Maradona, ma nella Nazionale argentina Messi eccome se lo ha vestito, vincendo anche lui un Mondiale.

Resta che ogni maglia scomparsa è un arbitrio.

Se un numero viene meno per un evento fatale, si accentua il vuoto che un campione lascia. In ogni 9 blucerchiato che fiorisse in campo, si rivedrebbe una traccia del campione d’Italia 1991. A proposito di Sampdoria, nelle nazionali giovanili Fabio Quagliarella era compagno di squadra di Niccolò Galli, scomparso in un incidente stradale. Il Bologna ne ritirò la maglia 27, numero che invece Quagliarella decise di portare per tutta la carriera. E' stato un miglior modo di onorare Galli farne sparire anche il numero, oppure - come ha fatto Quagliarella - portarlo dappertutto, perfino al Mondiale in Sudafrica? Risposta ovvia.

Se invece cancellare un numero vuol essere un tributo, perché negare e negarsi l’idea che un giorno possa arrivare qualcuno di più grande, che magari da bambino sognava di diventare come l’asso che si porta via non solo il pallone ma la maglia?

I numeri, alla fin fine, non sono importanti. Quando arrivò al Doria, Ruud Gullit seppe che certe maglie neanche un Pallone d’Oro poteva pensare di prendersi. Allora il surinamese disse: datemi la 4, la maglia più umile possibile. E giocò un campionato d’oro. I numeri sono importanti: quando si dice 1, 9, 10, si dice molto di chi li porti, di chi li abbia portati. Per questo non si oscurano le stelle, altrimenti è quasi impossibile navigare al buio.