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di Luigi Leone

Neanche un mese fa, in un grande evento tenutosi a Genova, a Palazzo Ducale, il segretario nazionale Luigi Sbarra ha presentato a circa ottocento delegati il progetto di legge della Cisl per portare i rappresentanti dei lavoratori nei consigli d'amministrazione delle aziende. È stato il primo appuntamento di una serie che poi ha condotto alla raccolta di firme che sta ormai interessando tutto il Paese. Di quell'evento mi sono rimaste nelle orecchie due affermazioni.

La prima è dello stesso Sbarra, il quale dice: "Attraverso la partecipazione possiamo elevare le condizioni di attrattività degli investimenti, guardare a qualità e stabilità del lavoro, recuperare e alzare la produttività per poterla redistribuire, fare interventi di vera sostenibilità sociale e possiamo anche frenare processi di delocalizzazione e di pirateria industriale".

Mi sono tornate alla mente, tali parole, in queste ore nelle quali l'industria italiana si piange addosso per il forte calo della produttività, sia congiunturale sia tendenziale. Soffriamo la brusca frenata dell'economia tedesca (tanto per dire, senza i nostri prodotti la Germania non può fare le sue auto) e il costo elevato dell'energia e delle materie prime a livello mondiale. Ci sono, dunque, evidenti ragioni esogene. Confindustria, così, ha subito avvertito che "senza un recupero si può dire addio a ogni rialzo dei salari".

E questo recupero della produttività deve avvenire anche attraverso il calo del fisco, che compete al governo. Tecnicamente ineccepibile. Ma chi decide se le aziende devono ridurre il loro lavoro perché altrimenti costerebbe troppo, al di là di quanto vengono pagate le persone che lo svolgono? La risposta la conosciamo tutti: sono le stesse aziende.

E allora mi sono rammentato delle parole del segretario regionale della Cisl Liguria, Luca Maestripieri: "Questa proposta è a disposizione di tutti, di chi fa impresa, delle istituzioni, delle rappresentanze datoriali, dei cittadini. Non vuole favorire una parte sociale a svantaggio di un'altra, non nasce per contrapporre interessi, né per ribaltare ruoli che per natura resteranno separati. Al contrario pretende di avvicinare il mondo del lavoro e quello dell'impresa nell'interesse comune, valorizzando la produttività e la sua equa redistribuzione e incentivando il dialogo e il confronto all'interno dell'azienda. Far entrare le rappresentanza del mondo del lavoro nei cda delle aziende o dare un governo alla partecipazione azionaria, finanziaria e organizzativa, è fare tutto questo".

Ecco, mi pare che Sbarra e Maestripieri sintetizzino al meglio una iniziativa coraggiosa, che si pone l'obiettivo di concretizzare l'articolo 46 della nostra Costituzione. Coraggiosa perché al momento mi pare che sia la politica sia la grande informazione stiano snobbando questa raccolta firme. Ma pure lungimirante, perché l'idea di portare i lavoratori nella stanza dei bottoni delle imprese ha il pregio dell'innovazione rispetto a ricette per cambiare il mercato del lavoro italiano che si sono fin qui rivelate inefficaci.

Come andrà a finire solo il tempo potrà dircelo. Io da sempre faccio il tifo per questa possibilità, vuoi perché dov'è applicata, vedi la solita Germania, funziona, vuoi perché sopirebbe certi sospetti. Guardo, cioè, la metà piena del bicchiere: se un'impresa ha bisogno di interventi negativi per andare avanti (non fare straordinari, bloccare le assunzioni, ridurre la produzione e via elencando) potrebbe sicuramente farlo meglio se a quelle decisioni partecipassero anche i lavoratori, attraverso una presenza finalmente regolata dalla legge nei consigli.

Perché, sia chiaro, non è che entri in un cda e fai scelte di parte o a capocchia. Devi rispettare il codice civile, quindi ogni decisione deve avere un suo fondamento, altrimenti prima o poi i carabinieri bussano alla tua porta. È una questione di semplice buon senso. Ed è una cosa che agli imprenditori, gli imprenditori veri, tornerebbe utilissima. Certo, quelli pronti a ogni cosa, dalla delocalizzazione in giù, non sono d'accordo. Ma ce ne faremo una tranquilla ragione se si riveleranno una minoranza.