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di Luigi Leone

“Se nel titolo metti un acronimo, ti strappo il foglio”. Io che ho avuto la fortuna di vivere l’era cartacea del giornalismo, devo a questo piccolo ma fondamentale insegnamento l’abitudine a spiegare con esattezza che cosa diavolo significhino certe sigle. E guardate che spesso può fare tutta la differenza del mondo, consentendo a una notizia di avere il risalto che merita, anziché passare quasi inosservata.

Prendiamo questa storia dei fondi Fesr, che la Liguria spende al 97 per cento, mirando al cento. Titola l’articolo con quell’acronimo, non peritarti di chiarire neanche nel corpo del pezzo di che si tratta e la frittata è fatta. Di grazia, se vai per la strada e chiedi che cosa siano i fondi Fesr in quanti ti sapranno rispondere?

Sono cosa importante, invece. Intanto, per la precisione, bisogna dire che la Regione Liguria primeggia in Italia nella realizzazione dei Programmi operativi regionali (Por) finanziati attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale. Appunto, ecco di che si tratta, il Fesr.

Riuscire a spendere quasi tutto il denaro che l’Unione europea ti mette a disposizione non è cosa né semplice né abituale alle latitudini italiane. Principalmente occorrono due cose: la capacità di varare dei progetti esecutivi e l’abilità di gestirli nei tempi e nei modi previsti. Ecco perché si tratta di una notizia molto più importante dell’evidenza che un po’ tutti i media le hanno riconosciuto. Capisco che si tratti del classico caso in cui anche semplicemente dire come stiano le cose possa apparire un ‘soffietto’ al presidente Giovanni Toti e all’assessore Andrea Benveduti. Ma quando il dato è questo è di per sé una nota di merito.

Ciò consente, ad esempio, di guardare con un certo ottimismo ai fondi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) destinati alla Liguria, molti dei quali possono davvero cambiare le sorti future della regione. Di più. Visto come vanno le cose con il Fesr, non appare così infondata la proposta avanzata proprio da Toti di assegnare alla Regione Liguria la regia per consentire ad alcuni Comuni, di solito i più piccoli, di spendere i fondi del Pnrr che invece potrebbero saltare mancando le strutture burocratiche necessarie.

Questo è il centrodestra-civico che funziona. Poi ce n’è un altro che deve almeno rivedere i propri atteggiamenti. Sono lontano anni luce dalle posizioni dei Cinquestelle, è bene ribadirlo, ma fatico a dare torto, e difatti non glielo do per niente, a Luca Pirondini, senatore genovese, che chiede al governo di intervenire sulle quattordici Fondazioni lirico-sinfoniche italiane: per rinnovare il contratto, fermo da 23 anni  - sì 23, non è un refuso – e per farle tornare di diritto pubblico (oggi sono di diritto privato, per attrarre dei finanziamenti, ma a parte un paio di eccezioni l’esperimento è fallito).

Pirondini di mestiere fa l’orchestrale, dunque sa perfettamente di che cosa si parli.  E in effetti di mezzo c’è anche il Carlo Felice di Genova, appunto una delle fondazioni lirico-sinfoniche d’Italia. Ha pure modi molto urbani, Pirondini, quindi c’è da credergli quando afferma che “ho posto solo dei problemi, senza alcun intendimento polemico”. Le risposte del ministro Gennaro Sangiuliano, però, sono state evasive.

Personalmente, viste alcune sue performance, non lo vedrei male tra i ‘rimpastati’ se mai Giorgia Meloni decidesse che la squadra di governo va rivista. Ma la questione non è questa e dunque arrivo al fatto che spendere i fondi europei praticamente per intero si tiene con l’insolvenza governativa su un terreno come quello delle fondazioni lirico-sinfoniche. La questione è semplicemente di capacità. Semplicemente…