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di Mario Paternostro

Alcune sere fa, mentre scendevo via Assarotti, travolta da una cascata inesorabile di auto, camion, bus e moto, con audaci pedoni a tentare la traversata, ho avuto una singolare visione: il monumento equestre di Vittorio Emanuele II, o meglio le terga del Savoia e quel dell’equino su cui poggiano le reali natiche, emergeva da un incredibile vulcano di luci. Un incanto lo confesso, anche se avrei preferito, politicamente, veder risorgere nella lava luminosa, Giuseppe Mazzini con la sua chitarra magica fra le mani. Ma l’immagine dovuta a una luminaria natalizia mi ha davvero impressionato favorevolmente. La lunga discesa rinfrancante era accompagnata dal vulcano lucente in mezzo alla vasca di piazza Corvetto rendendola se possibile ancora più scenografica.

Ho riflettuto, così accompagnato, su quello di cui da alcuni mesi mi sto occupando: le salite di Genova, da ponente a levante. Poetiche, uniche, ammirate, cantate. Ma sempre salite.

Ecco che il tormentone dell’amico Massimo che quando mi vede mi chiede: “E dopo Salir farai finalmente Scendér?” con l’ultima “E” accentata, mi ha fatto capire che alla mia età le salite pesano. Non parlo di quelle da scalatori, come salita inferiore San Rocchino nel primo lungo tratto o salita inferiore San Simone, ma quelle come la larga e asfissiante (di gas) via Assarotti. E, penso analogamente, alle originali invenzioni dei genovesi di qualche decennio fa, quando aiutarono i genovesi anziani con ascensori, funicolari, cremagliere e curiose “vie di mezzo” come l’elevador di Montegalletto che parte per un lungo tragitto sotterraneo e orizzontale per poi trasformarsi , miracolo della meccanica, in un veloce ascensore fino a corso Dogali. Consiglio al proposito l’ utile lettura del libro di Marco Marchisio edito da Termanini.

La cremagliera di Granarolo che usò, racconta Roberto Speciale, un Gramsci molto provato nel fisico, per salire a una riunione politica sulle alture, (scese sulle spalle robuste del compagno Marchitelli….) è dei primi del ‘900, quelle di Sant’Anna e Zecca-Righi del 1890-91, l’ascensore di Castelletto fu inaugurato nel 1909, Montegalletto è del 1929 modificato col sistema misto orizzontale-verticale nel 2004. Ultimo in ordine di tempo, credo, l’ascensore di Quezzi con una rampa caratterizzata dalla doppia pendenza, una soluzione unica in Italia, è stato inaugurato nel 2015 per risolvere un complesso problema di collegamento con la frazione collinare.

Ora ben vengano le funivie per arrivare alla meraviglia dei Forti (qualcuno preferirebbe un allungamento della cremagliera di Granarolo, leggo), ma non sarebbe possibile ipotizzare altri ascensori in alcune parti della città, da Ponente a Levante in cui per ritornare a casa si è costretti a faticose salite? (Oggi ne esistono una dozzina). Certo, ci sono i bus ci mancherebbe. Ma un ascensore è un mezzo di trasporto diverso, veloce, corto, silenzioso, ecologico. Chissà se il mio è un sogno da anziano costretto a pensare a qualcosa per allenare il cervello, o no. Egoisticamente vorrei la risalita meccanica vicino a via Assarotti, verso Manin. Così immagino che altri lo gradirebbero verso San Teodoro e Oregina, piuttosto che nelle vallate. Chissà.

Da quando, poi, sono diventati gratuiti questi mezzi di rapida risalita sono frequentatissimi.

Sento parlare di un collegamento rapido tra Waterfront e via Venti. Ottimo. Suggerisco anche uno “sforzo verticale”, qua e là. Tra funivie e skymetro ci può stare…..