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di Matteo Cantile

Gli agricoltori che l’altra sera sono intervenuti al Programma Politico di Primocanale sono gli ospiti più educati che io abbia mai avuto in una diretta televisiva: pacati, sorridenti, fieri. Hanno espresso le proprie rivendicazioni, loro che nei campi usano il forcone, con la forza gentile di chi sa di essere nel giusto.

E quella tavola imbandita nella stalla, in una rievocazione quasi biblica che ci ha catapultati in un mondo semplice e concreto, era il giusto premio dopo una giornata di duro lavoro: un gruppo di donne e uomini per bene che, con la coscienza tranquilla e il cuore leggero, si è riunito per una piccola festa prima di rincasare. Storie di persone e di campagne che vediamo di rado, noi che viviamo in un mondo che pensa che le mele crescano sugli scaffali del supermarket, vicine all’albero della Coca cola.

Le loro storie mi hanno fatto molto riflettere. Perché al netto di ogni richiesta sindacale, dai tagli all’Irpef ai prezzi equi, ciò che gli agricoltori ci stanno ricordando è più semplice e profondo: “Il mondo non si può reggere sulle spalle degli ultimi”. Ed è un rischio grave che i nostri comportamenti, ne ho già scritto altrove perché è un aspetto che mi tocca, rischiano involontariamente di acuire.

La nostra società, tutti noi in definitiva, pretende di pagare poco ciò che ritiene essenziale: pane, frutta, verdura, persino l’acqua, che pure scarseggia in varie parti del mondo e in qualche zona anche da noi, devono costare poco. Questo crea una mentalità secondo cui una cosa che costa poco, vale poco.

E così paghiamo i nostri agricoltori una miseria, perché “sa, signor contadino, noi non possiamo rincarare le zucchine di qualche centesimo per far stare un po’ meglio anche lei”. Così come sottopaghiamo corrieri, operai e persino medici, ingegneri e tecnici specializzati per tenere compressi i prezzi di un mercato che certe cose, che pure rappresentano la base della nostra civiltà, le vuole pagare poco.

Questo crea squilibri enormi perché il peso di questa filiera è tutto sulla base: i piccoli operatori con scarso potere contrattuale sono in balia di un mercato che li schiaccia, o bere o annegare. E i Governi, specie a livello sovranazionale dove pare sia tutto regolato dalla polizia dei buoni sentimenti, si occupano di clima, di futuro, di grandi obiettivi mente i loro concittadini più deboli non arrivano alla seconda settimana, altro che la quarta.

Serve un riequilibrio e serve con urgenza: è necessario in campagna come in città. Sono nato e cresciuto liberale, individualista e competitivo ma ne sta venendo fuori un mondo così ingiusto che rischio di morire comunista. Fermatemi finché siete in tempo.