GENOVA - La morte di Barbara Balzerani, brigatista mai pentita o dissociata, condannata a sette ergastoli, sta suscitando un dibattito che investe come un’onda di ritorno anche quello molto più riservato seguito alla pubblicazione del bellissimo libro di Sergio Luzzatto, “Dolore e furore”, la ricostruzione della storia della colonna genovese delle Brigate Rosse.
La polemica su questa morte per malattia di una delle donne “forti” del terrorismo rosso è stata suscitata dal tweet di Donatella Di Cesare, docente universitaria alla Sapienza di Roma, coetanea di Balzerani, che ha scritto ricordandola come protagonista di una “rivoluzione che è anche la mia”. Tweet lapidario, subito cancellato, ma capace di scatenare un incendio per l’abbinamento che la professoressa ha, forse un po’ tanto istintivamente, fatto tra l’esperienza della terrorista e la sua, probabilmente anagraficamente vicine, ma anche partecipi di un movimento molto largo negli anni Settanta _Ottanta, che accomunava in qualche modo personalità, il cui percorso di vita è stato anche diametralmente opposto.
La Balzerani clandestina, terrorista, partecipante alle azioni più sanguinose delle Br come anche l’omicidio di Aldo Moro e la Di Cesare, avviata a un brillante futuro di docente universitaria. Maledetti anni Settanta, che si possono vedere in due specchi, come molti di quelli che li hanno vissuti nella mia generazione di boomers!
Lo specchio degli “anni di piombo” e quello delle grandi rivoluzioni della società, dall’aborto, al divorzio, fino al varo dei decreti delegati nella scuola, fino all’esplosione di tante mode e cambiamenti sociali. In che specchio ci si può rimirare? I terroristi e le loro azioni di sequestri, processi omicidi a sangue freddo e anche le loro vittime, tante e indimenticabili, più di 300 solo i morti, in quello degli “anni di piombo”.
Gli altri, come la Di Cesare, nell’altro specchio, di una rivoluzione di costumi, di valori che non includevano certo la strada violenta e assassina, ma magari l’impegno in tante battaglie, giuste o sbagliate che fossero.
C’era un confine che non si poteva valicare? Certamente, ma tanti anni dopo, qualcuno, o qualcuna, può pensare di scavalcare quella linea e accomunarsi nella stessa generazione. Cosa c’entra Sergio Luzzatto, con il suo monumentale libro, uscito da qualche mese e già tanto discusso da provocare una seconda edizione, con alcune correzioni importanti: la cancellazione di nomi comparsi nella prima di personaggi genovesi importanti perché raccontati come gravitanti in quel mondo vicino alla nascente lotta armata?
Con l’equivoco che potessero essere indicati come veri e propri terroristi anche loro? E’ come se Luzzatto nella sua minuziosa ricostruzione avesse cancellato quel confine, che all’epoca dei fatti era impossibile tracciare e avesse legato in un unico filone di preparazione al terrorismo i futuri brigatisti o militanti di altre formazioni rivoluzionarie e anche chi non avrebbe mai partecipato alla rivoluzione, ma magari era citabile perché mobilitato in impegni sociali e civili ed anche politici di quella rivoluzione, ben più ampia e spesso diversa da quella armata.
Insomma Luzzato ha raccontato di Enrico Fenzi e di Gianfranco Faina, i professori universitari genovesi, cattivi maestri, di Riccardo Dura protagonista della sua storia, di tanti capi del terrorismo, di tanti militanti , che avrebbero insanguinato quegli anni e insieme ha parlato di altre figure, non certo citabili oggi, che appartenevano a quel “brodo” di impegno pubblico e sociale intensamente imbevuto negli anni Settanta.
Io personalmente ho trovato, tra queste figure, perfino dei capi scout della mia adolescenza. Non erano certo prossimi al terrorismo ed anzi ne erano lontanissimi. Si prodigavano per organizzare comunità di sostegno che fornissero aiuto e assistenza agli ultimi della società.
Nello stesso modo compaiono medici che curavano i malati fuori dagli ospedali, assistenti sociali, gli operai che lottavano per i lavoratori magari fuori dal sindacato. Molti di questi si sono sentiti coinvolti, indicati come brigatisti o come fiancheggiatori, perché il filo del racconto era talmente stretto nelle sue sequenze da non mostrare spazi di differenze tanto larghi e significativi. Questo stesso sentimento di coinvolgimento ha suscitato quella frase della professoressa Di Cesare, che accomunava la sua esperienza generazionale a quella della brigatista Balzerani.
La realtà è che la storia degli anni Settanta, che non furono certo solo gli “anni di piombo” del terrorismo, rosso e nero, di bombe, stragi, sequestri assassini, non è mai stata scritta veramente. E oggi ogni ricostruzione, quella minuziosa di Sergio Luzzatto nel suo libro o quella folgorante del tweet della Di Cesare, suscita equivoci.
IL COMMENTO
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