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di Franco Manzitti

Anche quella storica, baricentrica, di piazza Fontane Marose è chiusa. Aprirà o non aprirà più ci si chiede nell’ombelico di Genova, ponendo un problema che non riguarda solo l’edicola più centrale che ci sia, i suoi clienti, i passanti e il termometro sempre più basso della vendita dei giornali.

Con la progressiva e inesorabile chiusura delle edicole, strangolate dalla agonia della carta scritta dei giornali, sta cambiando il panorama della città e nessuno se ne preoccupa. Nessuno vede nella caduta di questi monumenti (per noi vecchi cronisti genovesi sono stati e sono dei monumenti) non solo la mutazione inesorabile del mondo della comunicazione, ma un cambio di scenario molto più complessivo, che investe perfino il costume della città.

Ha chiuso l’elegante e educatissimo edicolante sotto i portici dell’Accademia, proprio sotto la statua di Garibaldi, aprendo un altro vuoto ombelicale e quasi simbolico. Ha dovuto chiudere l’altra edicola-chiave della città, quella di piazza Matteotti, per la morte improvvisa del popolarissimo titolare. Volato via lui, la sua saracinesca non si è più alzata.

Per non dire della fucilata che era stata l’improvvisa chiusura di quella davanti alla Prefettura e in cima a Galleria Mazzini, un’edicola “circolare”, alla quale arrivavi da ogni lato e trovavi oltre al giornale sempre una battuta, una riflessione sulle notizie, sulla città.

Aveva chiuso da tempo l’edicola-nicchia di piazza Marsala, piazzata lì di lato, che bastava fermarsi anche in macchina, scendere un attimo e anche sfottersi un po’ con il titolare, sampdoriano sfegatato, lasciando sul posto una piccola cattedrale chiusa, che ora forse sarà rimossa per diventare un posteggio di moto o chissà che altro.

Potremmo continuare, uscendo dai confini del centro-centro e non solo per alzare il tono del lamento dei residuali lettori di giornali di carta, sempre più costretti a fornirsi di una mappa per trovare le edicole aperte. Magari spulciando gli orari, perché ora che quel mondo è in estinzione, le edicole non sono più quei fari sempre, o quasi, accesi.

Spesso la saracinesca e tutto l’ambaradan di contorno viene chiuso molto presto nel pomeriggio.

Trovare il giornale, per chi ancora lo cerca e non gli basta spulciarlo già spiegazzato nei bar che forniscono ancora il servizio di lasciarlo gratis ai clienti, è diventata una piccola caccia al tesoro.

E le edicole, chiuse o abbandonate al loro destino per anni, lustri decenni, rotte, arrugginite, monito permanente del mondo(dei giornali) che fu, sono oramai un inesorabile percorso cittadino di quello che è stato, dove si aggirano ancora i clienti-lettori, alla ricerca di quella aperta, incerti sul destino di quello che negli anni era diventato spesso anche un angolo famigliare, una sponda non solo di notizie da scambiare e commentare, ma un appuntamento quotidiano  sia per l’edicolante che per l’acquirente.

Ma sono anche un segno urbanistico forte che in qualche modo va risolto. Forse di più delle anonime cabine telefoniche oramai quasi tutte cancellate.

Qualcuna è stata “asportata”, inizialmente acuendo il senso di vuoto, ma la maggior parte è lì, a punteggiare una geografia perduta, ma ancora presente. Levarle, trasformarle, concentrarle, difendere in qualche modo quello che è ancora un servizio pubblico, fornitore anche di altro, non solo di giornali?

Basta pensare ai biglietti per i bus, che molte edicole fornivano e forniscono.

Certamente il discorso può essere allargato rispetto a questo lamento del vecchio giornalista, che vede cadere uno a uno i templi del suo lavoro, i luoghi del suo pellegrinaggio per scoprire anche il numero delle copie vendute quel giorno, la misura del successo o del declino del proprio giornale, in tempi nei quali la lotta diffusionale era una vera battaglia. Quando la puntualità dell’arrivo in edicola, soppratutto notturna, era fondamentale per guadagnare copie e quando le edicole ( e gli strilloni) erano fari nella notte genovese, mai prodiga di tante luci.

Bisogna rassegnarsi al fatto che la città cambia ed è giusto così: cadono e vengono anche un po’ brutalmente tagliati alberi storici che sono nello skyline della città, si disegnano nuove aree di parcheggio, magari raccomandando anche soste brevi ma con baci annessi (kiss and buy) o se ne cancellano e si programmano posteggi sotterranei in ogni dove.

Genova pullula di cantieri e di lavori che modificano un po’ tutto. Spesso sono necessari, altre volte sono obbligati da incidenti, rotture o dall’avanzare delle nuove trasmissioni tecnologiche. Cosa volete che sia il problema di vecchie edicole o di quelle poche, diventate avamposti ricercati di un mondo che si sta estinguendo?

E in questo clima fa un po’ impressione che “Il Secolo XIX”, il giornale della città, con tutto il rispetto per tutti gli altri sistemi di comunicazione e in particolare per questa televisione che è il mezzo con più audience di tutti, stia attraversando un cambio “storico”.

Il passaggio di proprietà dalla Gedi di Agnelli all’uomo più potente nella Genova di oggi, anche se abita a Ginevra, Luigi Aponte, “il comandante”. Finisce una storia, ne comincia un’altra sul filo del rasoio dei giornali, che hanno scritto quella passata secolo per secolo, anno per anno, giorno per giorno, fornendo un servizio del quale le nostre care edicole erano una parte fondamentale. Ricordiamolo.