La questione di una moschea a Genova è antica quasi quanto il terzo valico e la pedonalizzazione di via XX Settembre. Dunque ora siamo da capo. E da capo la politica si divide su una faccenda abbastanza incredibile. Cioè che non si voglia la realizzazione di un luogo di culto non cattolico. I musulmani di Genova sono costretti a pregare chiusi in box disseminati in città.
Una dozzina di anni fa era stata la sindaca Marta Vincenzi a rilanciare il progetto di costruzione di una moschea al Lagaccio. Ma una parte degli abitanti di questo quartiere era insorta opponendosi all’ipotesi, trovando un sicuro appoggio nella Lega allora ancora di Bossi. Ora ho letto che al Lagaccio verrà realizzata un’isola ecologica, certamente utilissima a tutta la città. Ma, francamente, non capisco questa opposizione così anti-storica alla moschea.
Non lo capisco a Genova, una città di mare, quindi naturalmente aperta, un grande porto di traffici con tutto il mondo. Una città che si è sempre distinta per essere tollerante. Certo, nel rispetto assoluto delle regole e della sicurezza.
All’epoca della Vincenzi ricordo che erano state individuate due aree possibili, una privata e una pubblica e sembrava che l’area pubblica fosse quella più adatta: un prato di duemila metri quadrati che aveva l’aspetto di una piccola penisola, più o meno sotto un tornante di via Bartolomeo Bianco.
E c’era anche un progetto di questa moschea che, se non ricordo male, era stato disegnato dall’architetto Claudio Timossi che già aveva disegnato la moschea quando questa avrebbe dovuto sorgere a Cornigliano con la trasformazione di una ex officina in via Coronata.
La scelta della sindaca arrivava dopo un lungo iter, e dopo accese contrapposizioni politiche anche all’interno della maggioranza di centrosinistra. Allora guidava l’assessorato alla Cultura un personaggio molto intelligente, Andrea Ranieri che disse: «Oggi siamo arrivati a un compromesso: con Idv, con cui abbiamo la volontà comune e condivisa anche dal partito di Di Pietro di rendere chiarissimo e irreversibile che a Genova ci sarà una moschea, ma abbiamo deciso di fare precedere alla votazione della delibera l’indicazione di un percorso che tenga conto delle perplessità sul luogo scelto». Il luogo era sempre il motivo dello scontro. In questo caso l’area del Lagaccio.
Ma il primo dialogo sulla moschea con la comunità musulmana di Genova risale addirittura al 2008. E l’ipotesi suscitò la reazione leghista che raccolse quasi duemila firme per chiedere addirittura un referendum popolare. Come spiegava l’imam Salah Hussein i musulmani si riunivano a pregare in cinque diversi luoghi, addirittura stanze di case private nel centro storico, al Cep di Prà, a Sampierdarena, che venivano adattate per diventare luoghi di culto.
Non fu, dunque, individuato subito il Lagaccio, ma altre località. Come la vecchia darsena del porto, per esempio, finché la comunità musulmana acquistò l’ edificio a Coronata proprio con questo obbiettivo.
Tursi aveva chiesto alla comunità musulmana due condizioni indispensabili, entrambe rispettate: la costituzione di una fondazione autonoma rispetto all’ Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia e lo “scambio” tra l’area del Lagaccio e quella precedentemente acquistata a Coronata. Ricordava la giornalista Erica Manna su “Repubblica” nel dicembre del 2015 la storia delle moschee a Genova, tra il Seicento e il Settecento. “Serviva in primo luogo alle necessità religiose degli schiavi musulmani presenti nella città e utilizzati sulle galere, e la presenza di luoghi di culto per i musulmani era comune in tutti i porti commerciali della penisola: Livorno, per esempio, ne aveva quattro. I resti della moschea genovese, che sorgeva dove ora si trova la biblioteca della facoltà di Economia, furono ritrovati nel febbraio del 2007, e suscitarono una prima discussione sulla necessità di un luogo di culto per la comunità musulmana di Genova.”
Ci fu anche una iniziativa promossa dal direttore del “Decimonono”, Alessandro Cassinis che si chiamava “Moschee aperte”, una grande festa popolare di unità tra diverse culture e religioni alla quale aveva partecipato l’allora sindaco Marco Doria. Vale la pena di ricordare quello che disse il primo cittadino che ha un senso ancora di più oggi, in un momento così drammatico, e tragico di guerra.
“La libertà e la convivenza religiosa sono diritti e principi inviolabili. Il fatto che ci siano paesi del mondo dove questa libertà viene negata o poteri che tentano di negarla rende ancora più forte per noi il dovere di rispettarla e garantirla a tutti. Ma non è solo per questo che Genova deve essere impegnata a promuovere il confronto tra culture e religioni diverse, tra chi professa credi diversi e chi non ne professa. È anche perché questo pluralismo e questo confronto costituiscono una ricchezza per la nostra comunità ".
“I rapporti fra le due culture – ricorda “A mae Zena” - nonostante le continue guerre e scorribande sulle due sponde del “mare nostrum”, sono sempre stati proficui e tolleranti. Oltre che mercanti a Genova non mancavano scribi, traduttori e agronomi musulmani. Probabilmente già da prima, ma sicuramente dal ‘600, gli infedeli avevano ottenuto il permesso di edificare una moschea proprio davanti alla Darsena (darsena deriva dall’arabo e significa “casa del lavoro”) presso l’attuale palazzo di Scio, la Facoltà di Economia….. Così nella capitale del Mediterraneo minareti e muezzin convivevano con campanili e Cardinali”.
Ora leggo di uno scontro tra Pd e Lega sull’ordine del giorno con cui i Dem volevano impegnare la Giunta a istituire un tavolo di confronto con la comunità islamica genovese per favorire la costruzione di un luogo di culto. Mi sembra incredibile…..A vent’anni di distanza ancora si litiga su questo?
IL COMMENTO
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