Ma allora alla fine che città vogliamo? Una città di supermercati che invadono da Ponente a Levante, in Valpolcevera, un po’ ovunque o la città a misura d’uomo e di relazioni, mantenute in un contesto altamente turisticizzato, rivoluzionato, capovolto dalle grandi opere in corso, fatte, mezze fatte o da fare?
Che città siamo con i bar che chiudono a raffica, dieci in pochi mesi solo in centro, decine di saracinesche abbassate un po’ ovunque, i locali storici come Klenguti e Moody, che vuol dire ex Motta, accecati fino a quando, quartieri desertificati come Piccapietra, l’orgoglio sepolto degli anni Sessanta-Settanta?
Ce lo chiediamo, mentre già rulla la campagna elettorale più strana che mai ci sia capitato di vedere: un vicesindaco reggente, già in corsa come mai si era visto un candidato, perfino doviziosamente intervistato al tavolo nobile che fu degli antichi predecessori, che corre con la sua giunta itinerante sul territorio variegato di questa Superba bella da morire, ma anche stravolta dai cantieri, dalle ondulazioni tempestose del suo sviluppo, la bellezza riscoperta nelle chiese, nei palazzi, negli angoli sul mare e lassù sulle montagne, come le chiamiamo noi, in attesa della funivia, o no? e l’Archivio di Stato, Monumento della Storia mondiale trattato come un pertugio abbandonato.
E dall’altra parte nessun candidato ancora e chissà quando lo avremo, alla fine di tormenti tanto ripetitivi nell’arco del centro sinistra da far voltare lo sguardo altrove. Che città vogliamo, mentre è fermo il progetto della Esselunga a Sestri, ex capitale del grande commercio, nella ex Stalingrado d’Italia? Lo stesso marchio punterebbe anche alla zona dell’ex Miralanza di Rivarolo, un’altra big operation in mano ai bergamaschi e chissà se non ci sia nei piani di questa ultra qualificata gran distribuzione, finalmente sbarcati in una città che li aveva sbarrati per decenni, anche il nuovo Palasport, dove per ora si corre e si salta e magari si canta, ma dove tutto il resto deve ancora arrivare. Consoliamoci per il monopolio Esselunga, a Voltri arriverà Pam, a Multedo Basko e vicino all’Ikea un altro mega mega supermercato…..
E’ giusto: la campagna di Pietro Piciocchi, avvocato duro e puro, ha fatto come una inversione a U rispetto agli anni precedenti, ma senza rinnegarli. Ora l’attenzione è sulla persona, sul territorio, sui disagi, sulle difficoltà di una popolazione ondulante, cresciuta nel mood, nella frequenza cittadina, invecchiata a dismisura nelle vecchie analisi demografiche.
Va bene le grandi opere, che ci stanno un po’ sventrando, un po’ capovolgendo tra quelle in corso, quelle paralizzate come Hennebique, come la Loggia della Mercanzia, quelle in pista come la Diga a cinque cassoni e non a dodici nel 2024 o come il tunnel subportuale da sogno.
Ma pensiamo alla gente, non quella con la doppia g delle battute in romanesco, ma quella viva, che resiste aspettando di stare meglio nelle case, negli ospedali, nelle strade, nella sua solitudine dilagante di blocchi unifamigliari, di età avanzata a dismisura, di assistenza difficile con perfino le gru che ti cadono in testa come nella RSA in via Chiodo e allora ecco il colpo forse più forte di questa campagna atipica, che da una parte galoppa e dall’altra si avvoltola, attendendo anche qualche imprevisto: la nomina di Enrico Costa nell’assessorato-chiave dei Servizi Sociali.
Costa non è solo un Costa, che vuol dire tutto o anche niente rispetto alla Storia della città, ma è il vero esperto della materia, un civil servant, che prolunga una tradizione fortissima, germogliata non solo nella sua famiglia, ma in un humus genovese profondo, fatto di una solidarietà rara nelle storie metropolitane di tante città. La città dei Duchi di Galliera, che con Maria Brignole Sale, la duchessa, sposata a Raffaele De Ferrari, di fatto costruì nell’Ottocento il Welfare genovese, non solo con il Galliera, ma con Coronata, con una rete di assistenza diffusa in tutta Genova. La città di tante altre famiglie impegnate nella solidarietà, che temo di citare nel timore di dimenticarne molte e che culminarono un decennio fa nell’affiancamento al tentativo dei sindaci Pericu e Vincenzi e dell’assessore Paolo Veardo di costruire un Piano Regolatore Sociale, uno strumento chiave nella città delle fragilità, che don Antonio Balletto, un Santo troppo presto dimenticato, raffigurava come una rete che deve diventare sempre più fitta e impedire che attraverso i suoi strappi i più deboli, i più indifesi precipitino di sotto in una società ferita dalla de industrializzazione, dalle fabbriche dal destino incerto, dal disfacimento delle famiglie come le avevamo intese, dalla fine ineluttabile dei nonni che soccorrono i nipoti. E quando questi nonni non ci saranno più?
Che città vogliamo ora che la vediamo così velocemente, o non troppo, cambiare? La rotonda di Carignano spolpata dalle scavatrici, il water front di Levante che avanza si, ma quando finirà? e con il centro storico che resta il problema che è sempre stato, inghiottendo tutti i piani di salvataggio, da quelli del 1975-80 del socialista lombardiano Fulvio Cerofolini al Piano Caruggi del manager superefficiente che cria, Marco Bucci, indipendente, civico, scelto dalla superdestra, mentre la sicurezza resta una emergenza che dilaga a Ponente, dove ora si scatena la banda del tombino e dove a Sampierdarena e Multedo la questione dei Depositi Chimici sta lì congelata, tra un fronte portual industriale e un fronte di sicurezza. E ancora Multedo, dove sta per sbarcare quell’ altro supermercato, al posto del Centro Stampa da cui uscivano le copie de “IL Secolo XIX”! ?
Che città vogliamo, che la sua bellezza struggente viene scoperta sempre di più, ma la sua difesa è complicata, perché mantenerla è difficile. E Corvetto sembra sempre un cantiere aperto e la Metropolitana ritarda a Certosa come altrove, neppure una stazione inaugurata negli ultimi anni e quella in superficie resta un sogno, mentre i disagi dei treni sembrano una condanna ulteriore all’isolamento genetico, con il Terzo Valico, che la Finanziaria ha dimenticato con la sua bolla di gas dentro.
E le autostrade che ogni giorno mandano segnali preoccupanti, oltre a quegli spot indegni che Primocanale giustamente denuncia ogni giorno incessantemente.
Piciocchi ce lo sta dicendo che città vuole, se alla fine sarà lui il candidato in campo per la maggioranza che ci governa da otto anni. Il centro sinistra non ce lo dice ancora, perché non metabolizza che il programma non è un progetto che spunta come un cucù in bocca al candidato alla fine prescelto, ma qualcosa che una lunga elaborazione politica di opposizione dovrebbe avere già elaborato con segnali precisi, dossier, piani forti, non solo con i rimbalzi polemici ai governanti.
I nuovi centristi, civici o no, diffusi o no, social liberali o repubblicani ( nessuno lo sa, ma hanno rifondato un Pri e la notizia non è secondaria, insieme a quella dei cattolici rimobilitati), o semplicemente moderati di accatto o di convinzione, pensano solo alla loro collocazione nel quadro delle presunte alleanze, ma non a dirci cosa vogliono fare di questa città.
Attenzione genovesi che il tempo passa. Attenzione genovesi, che il tempo è moneta. E forse questo è l’argomento che conta. Viva san Giorgio!
IL COMMENTO
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