Confesso che a un certo punto, dopo due ore di diretta di Primocanale dal portone del palazzo della Regione, pensavo che dentro si fossero tutti addormentati. Dentro il palazzo di governo, dentro la camera dove i notabili del centrodestra ligure, adunati dal presidente Bucci, avrebbero dovuto o accogliere la candidatura a futuro sindaco di Pietro Piciocchi o contestarla con la presentazione di altrettanto autorevoli personaggi di altre formazioni politiche.
Sì, ho immaginato che là dentro ci fosse una monotona giaculatoria di cognomi: Abate, Beringheli, Bacigalupo, Cavallo, Dapueto, Errico, Ferrini, Giacometti, Imola, Luisetti, arrivando fino a Zazzero, (pesco fra i malmessi ricordi degli appelli delle medie) per poi ricominciare da capo. E il sonno dell’ora di pranzo, il vuoto gastrico da assenza di ravioli col tuccu, avesse sopraffatto i leaders locali consumati dall’immane messe di candidati-altri. Ma non era così. No, nessun elenco. Si dà il caso che oltre a Piciocchi non ci sia nessuno pronto per la sfida con l’Uomo mascherato del Campetto targato Pd, e quindi Piciocchi sia. Ma il nome dovrà essere benedetto dai capi romani, fustigati in 48 ore dal successo clamoroso e solitario di Giorgia che ha liberato per fortuna la giornalista Cecilia Sala dalle prigioni iraniane. Sarà solo lei, Giorgia intendo, che dovrà dire sì o no. Sapendo che se dicesse no dovrebbe corredare la risposta con un altro nome di riserva. Appunto. Ma in questi giorni a Giorgina va tutto bene pare.
D’altronde la partita di Genova è partita eccezionale perché anticiperà a inizio estate l’umore politico non solo dei genovesi che di umore ne conoscono per Dna, solo uno, il cattivo, ma degli italiani, meglio, molto meglio di un sondaggio. Se in questi giorni Giorgia Meloni fosse passata da Genova per un comizietto, e se ci fossero state urne in apertura, per il centrodestra e Piciocchi la sfida nella città tornata bella rossa rossa (non rosée) sarebbe stata più facile.
Non che sia diventata difficilissima o quasi impossibile come sostiene qualcuno, perché ci pensano quelli del Pd genovese a limare giorno dopo giorno lo sbalzo robusto che hanno conquistato mesi fa nel capoluogo con le regionali. Fanno del loro meglio cercando il candidato-a e sgambettandosi qua e là appena spunta un’ “ombretta sdegnosa del Mississipì” che potrebbe proporsi. Guai. Babbo Natale, quello con la slitta non il segretario regionale del partito, non ha portato il candidato promesso. C’era una lieve fiducia nella Befana che sulla sua scopa-caravan riesce sempre a raccogliere qualche sorpresa. Anche cose dismesse. Macché. Così il povero Andrea Orlando emigrato da Roma a Genova ora è fiducioso su febbraio. Che però quest’anno non è bisestile e quindi il tempo per la scelta perde almeno altri tre giorni.
In questa “soppressata di palle” il Pd, magnificamente appoggiato dai Cinquestellette, rischia grosso, rischia di un rischio anche lui “nazionale”. Unico sostegno rassicurante quello dei rosso-verdi che sono di parola, ma che a un certo punto avrebbero anche motivo di stufarsi.
Ci vorrebbe un segnalino, un’istantanea sugli umori dei genovesi al momento attuale, per capire se il gap che dava la sinistra in nettissimo vantaggio, resiste, cala o cresce nonostante. Giorgina sta facendo riemergere i suoi anche tra i caruggi? Oppure è soltanto una momentanea sventolata di tramontana scivolata giù da Granarolo?
*Mario Paternostro, editorialista di Primocanale
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IL COMMENTO
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