
“Festival di Sanremo” e “Festival della canzone italiana” sono marchi registrati e proprietà del Comune di Sanremo. Se anche volesse, dunque, la Rai non potrebbe realizzare una kermesse canora con quei nomi. E ciò, va da sé, già costituirebbe un minus per la televisione pubblica. Eppure da Viale Mazzini è arrivata esattamente questa minaccia: andiamo altrove, non abbiamo problemi.
Non è la prima volta che da Roma echeggiano tali parole. In questa occasione, la “colpa” del sindaco, Alessandro Mager, è quella di aver fissato dei pre-requisiti per le manifestazioni di interesse con il Festival messo a gara. Non è detto, perché lo stesso Comune ha ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar che obbliga al bando, tuttavia può succedere. E giustamente il sindaco, che di professione fa l’avvocato e quindi sa come funzionano queste cose, prende delle precauzioni. Non doveva?
E’ proprio qui che la Rai non mi piace per niente. Lo dico da cittadino italiano (non sanremese, perché sono orgogliosamente nato a Imperia e genovese di adozione): la pretesa dell’azienda di Stato sarebbe quella di un sindaco che dimentica di essere tale e firma dei contratti a discapito della città che ha l’onore e l’onere di rappresentare. E sì, perché l’altra “colpa” del primo cittadino è quella di avanzare queste richieste: un aumento di quanto riconosciuto a Sanremo, l’un per cento degli introiti pubblicitari, le riprese di quattro manifestazioni, delle quali tre già fanno abitualmente parte, da anni, del palinsesto.
Ritenendo tutto ciò un colpo basso, con una arroganza e una protervia degne di miglior causa, la Rai fa sapere, in modo non ufficiale of course, che è pronta a fare fagotto e a trasferirsi altrove. Anche perché di mezzo ci sarebbero pure gli impegni assunti con l’Eurosongs. In realtà, per una ragione vecchia come il cucco: ai piani alti di Viale Mazzini sono ancora convinti che sia Sanremo ad avere bisogno della tivù pubblica. Vi do una notizia, egregi signori: il mondo è cambiato e sta ulteriormente modificandosi, quindi sarebbe bene farsi prendere dal dubbio che invece sia la Rai ad avere bisogno di Sanremo. Come minimo, che la necessità sia reciproca.
Il quotidiano La Stampa nei giorni scorsi ha titolato “Festival, mano di poker”. E’ vero, siamo di fronte a una trattativa, pertanto è anche normale che chi siede al tavolo ricorra al bluff: nessuna sorpresa. Però ci sono dei limiti. E uno, invalicabile, è che non bisogna mai dimenticare come in ballo ci sia del denaro pubblico. Tanto da parte del Comune di Sanremo, e questo è persino pleonastico ricordarlo, quanto da parte della Rai.
Eh sì, perché Viale Mazzini può fare l’azienda privata finché vuole, però poi deve rammentare almeno due cosucce. Primo: tutti noi paghiamo il canone, quindi la Rai è un cespite che ci appartiene. Secondo: l’editore di riferimento non è un cittadino qualunque, che giustamente potrebbe fare quel che vuole, bensì il Parlamento della Repubblica italiana.
Se le questioni stanno in questo modo, e stanno in questo modo, la Rai non può tirare la corda fino a romperla. Del resto, in tutto Sanremo ha chiesto, malcontato, il 10 per cento di quanto Viale Mazzini ha incassato di pubblicità per la 75^ edizione della kermesse canora. Insomma, non l’ha fatta fuori dal vaso. E quindi, pur se non ufficiale, non si giustifica la reazione della Rai. La quale farebbe bene a ricordare la propria natura pubblica.
IL COMMENTO
Appalto del Festival, la Rai ricordi la propria natura pubblica
2001. Il caso della contessa tra i grandi “misteri” italiani