"Al Galliera tutta un’altra cosa ma non mi hanno dato il posto. Qui non va bene niente". Sto per arrivare nel padiglione del San Martino dove farò la terza dose di vaccino anti Covid e ancora prima di scorgere la fila di chi aspetta sento un capopolo che arringa chi è lì. È un si vax convinto, solo che alza decibel come un no vax e semina dubbi tra chi ha prenotato. Ultra settantenne, lui non accetta che alle undici è un po’ indietro rispetto all’appuntamento. E allora si scatena.
Io devo entrare alle 11.30 e mi faccio da parte vedendo il codone, ma poi come d’incanto scopro che la metà che attende sono accompagnatori di anziani attaccati ai vetri per procedere. Gente per fortuna che si vaccina, ma altrettanta è di troppo e disturba e rallenta le operazioni. Il capo rivolta non la smette, ha pure una voce forte e trova una signora più anziana di lui, con due orecchini d’oro come nocciole, che parte verso la porta chiusa del padiglione urlando "La situazione è drammatica". Ma non raccoglie consensi e c’è un momento di imbarazzo, anche perché c’è chi con scuse riidicole cerca di farsi largo per saltare come ostacoli alle Olimpiadi tutti quelli che sono pazientemente in disparte ma non per questo dei cretini.
In realtà c’è un po’ di folla dentro e anche le stanze adibite a chi poi dovrà andare a fare la puntura, si svuotano lentamente. Ma dopo poco in 15 varchiamo la soglia vedendo però molte persone in fila che attendono di essere chiamate. E parte lo sconforto. "Ecco qui ci fanno morire. In una stanza siamo in dieci". Vado ad aprire la finestra e qualcuno mi dice "bravo", tre secondi dopo in due e in stereo mi urlano "che corrente, mi viene la cervicale". Mi siedo e taccio ma faccio fatica. Richiudiamo mentre fanno il loro ingresso con i papiri da compilare tre ragazzi con il volto bianco come se dovessero scegliere l’ultimo desiderio terreno prima di salire sul patibolo. All’infermiera ormai esausta di ripetere che bisogna scrivere i propri dati e mettere gli estremi della carta d’identità a chi o non sente o non capisce perché in preda alle polemiche, i tre under 30 confidano alla stessa: "dobbiamo fare la prima dose". Il gelo: 14 occhi su quei tre come venuti da Marte. E parte un impietosamente "belin meglio tardi che mai" da chi si sente ormai un veterano.
Intanto il Galliera boy e la sua seguace che prevedeva il disastro escono sicuramente con meno ritardo di un treno proveniente da Savona per Principe. Tocca ora mettersi al centro e avanzare verso il tavolino di due infermiere, che però subiscono gli attacchi dalle ali manco fosse una partita di calcio. Si perché in ospedale sono organizzati, ma lorsignori si comportano come attori di un farwest. Ognuno senza chiedere permesso assale le due signore con quintali di domande. Non ci sono risposte, l’hanno già ripetuto dieci volte. Bisogna aspettare il proprio nome stando in fila ai lati.
Con poca differenza di tempo sulla tabella di marcia, faccio la mia terza dose anche perché entro già quasi spogliato ed esco subito mentre altri, non certo problematici, se ne fregano di stare fuori e si rivestono con cura come dovessero andare ad un veglione. I medici all’interno si vaccinano e vaccinano pure gli altri tra domande tipo "Dove me la fa? Cosa devo prendere se mi gira la testa?". Tutto lecito, tutto straordinariamente normale in fondo. Ringrazio e quando esco trovo la fila (buon segno) sentendo: "Ah come era bello quando si poteva andare alla Foce". Sorrido convinto sempre di più che qui come in altri ospedali si stia realizzando un miracolo, magari grazie anche all’onda di chi ha capelli d’argento e pazienza se capipopolo per l’occasione e incontentabili malgradi nessuno abbia vissuto un dantesco girone infernale.
IL COMMENTO
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