GENOVA-Chissà se le bombe russe sparate dalla flotta di Mosca al largo di Odessa stanno anche cadendo anche sulla mitica e leggendaria scalinata Potemkin, una delle bellezze di quella città dolce, sulla riva del mar Nero? Centoventisette gradini, resi celebri da noi, più che dalla rivoluzione contro Mosca, che li insanguinò nel 1905 per reagire alla rivolta contro gli zar, dal film di Paolo Villaggio-Fracchia.
Quel famoso film comico del 1976 fa vedere la scena madre della carrozzella che precipita sui gradini e contiene la battuta relativa di Paolo Villaggio, comico, attore celeberrimo, genovese doc, che definiva la pellicola “una boiata pazzesca”.
Quello originale era un film muto e la sequenza madre era dedicata ai cosacchi che assaltavano i civili e uccidevano sulla scalinata una povera madre, alla quale sfuggiva la carrozzella con il suo bimbo in fasce dentro.
La sequenza di quella lenta caduta, di quel precipitare, scalino dopo scalino, della carrozzella verso il vuoto era il clou del film drammatico e della conseguente battuta del genovese Paolo Villaggio, agli albori della sua carriera che aveva puntato sulla critica estrema al cineforum, nel suo ritratto di impiegato succube di una grande azienda, che si ribella alle imposizioni culturali della ditta ribellandosi alla critica cinematografica “fissata” sulla scalinata Pomemkin.
Sono stato su quella scalinata, scenario di un dramma storico e di quella rilettura comica, in un viaggio del 1985, organizzato per una delegazione genovese, che celebrava il gemellaggio del 1979 tra la città della Lanterna e Odessa, allora capitale del Mar Nero, città ultrasovietica.
E oggi capisco bene perché Zelensky ha nominato Genova, immaginando un bombardamento per la nostra città, simile a quello che sta subendo Mariupol, altra città di mare, 300 chilometri da Odessa. Perchè Genova e Odessa sono gemellate e legate da una storia di secoli e secoli, per la quale i genovesi sono gli occidentali più a portata di mano per gli ucraini, che li hanno studiati e vissuti sempre come il popolo che veniva da Ovest.
E allora, dovendo trovare un luogo “paragonabile” alla città martire di Mariupol, il leader ucraino ha citato Genova, a lui ben nota, suscitando una valanga di illazioni e anche qualche incomprensibile compiacimento sotto la Lanterna.
Non era una citazione, neppure certo un complimento, anzi, era il riflesso di una conoscenza ancestrale tra due città, con molti aspetti in comune e un legame formale, appunto stretto nel 1979, anche grazie al corso che stava vivendo in quegli anni la politica genovese, dove il potere locale era stato conquistato dai partiti della sinistra, finalmente al vertice delle istituzioni locali.
E allora organizzazioni come Italia-Urss avevano avuto il loro momento d’oro. Certo Zelensky era ancora in fasce in quegli anni, ma Genova stava entrando nell’attualità e confermandosi ancora di più nella storia ucraina e della Crimea. La delegazione alla quale partecipavo da giovane giornalista dell’allora maggiore quotidiano della città, “Il Secolo XIX”, era fitta di papaveri del nuovo corso social comunista, governante di Genova.
Il capo delegazione era Silvio Ferrari, allora assessore alla Cultura della Giunta di Fulvio Cerofolini, sindaco socialista lombardiano, ma l’uomo forte era Attilio Sartori, un intellettuale comunista molto autorevole e il presidente della Italia-Urss era Aristo Ciruzzi, architetto, grande intellettuale anche lui, uno degli strateghi della nuova urbanistica che Genova stava cambiando radicalmente con il corso politico delle celebri “giunte rosse”.
A Mosca governava Michayl Gorbaciov, che aveva incominciato già la sua rivoluzione della “glasnost” e della “perestroika”, che cinque anni dopo avrebbero portato alla caduta dell’impero sovietico. Ma questi segni non si vedevano ancora nella realtà quotidiana di quella Russia ancora totalmente comunista. La delegazione genovese era stata accolta in pompa magna, proprio in virtù di quel gemellaggio storico.
Oltre ai politici c’erano molti professionisti, soprattutto medici che avevano in agenda interessanti incontri con i loro colleghi e c’erano i rappresentanti della più grandi aziende parastatali, che avevano ancora a Genova la loro capitale, Italsider, Ansaldo, Italimpianti, Fincantieri. Su tutti vegliava un giovanissimo Paolo Cremonesi, oggi direttore del Pronto Soccorso del Galliera, allora medico assistente del gruppo di illustri viaggiatori.
Non mancavano i rappresentanti del mondo del lavoro, sindacalisti che poi avrebbero avuto fortuna nelle loro carriere, in particolare Amanzio Pezzolo, vice console dei camalli, dei mitici portuali, la grande aristocrazia operaia. Ognuno trovava in quel mondo sovietico inconsapevolmente al tramonto, che stava incominciando ad aprire le sue sponde, gli interlocutori giusti per le proprie competenze. Era stata una festa nella quale si poteva misurare una sintonia, ma anche la distanza da quel mondo che stava cambiando e che era ancora così diverso.
Odessa e la sua mitica scalinata apparivano come una città di mare, così simile alla nostra, intangibile nella sua solidità sovietica, ma prossima a chissà quale rivoluzione. Era inimmaginabile la frattura tra l’Ucraina, madre della Russia e l’impero sovietico, che tutto abbracciava in una morsa impossibile da vedere allentarsi.
Pensarla oggi sotto le cannonate dei russi, che sparano sui fratelli, da quel mare, dove ci avevano portato in gita su battelli turistici per ammirare le spiagge e le banchine, fa venire i brividi. Come fa rabbrividire il destino di Mariupol, che Zelensky ha paragonato alla nostra Genova, immaginandola sotto i bombardamenti, anzi rasa al suolo dai bombardamenti.
E ci credo: anche Genova tra il 1941 e il 1944 ha subito spaventosi bombardamenti, un incubo che è nelle viscere ancestrali dei genovesi, che già nel 1648 furono colpiti dal mare dove la flotta di Re Sole, Luigi XIV, sparava con le sue colubrine. Si calcola che nella seconda guerra mondiale Genova fu bombardata 86 volte dagli anglo americani, e che solo nel 1944 fu colpita dal cielo 44 volte. Quanti morti, quante distruzioni? Incalcolabili, se si considera che i rifugi anti aerei potevano proteggere non più di trentamila persone sui seicentomila abitanti di allora.
In molti quartieri ci sono ancora i segni di quelle ferite profonde, che sono rimaste per decenni, sotto forma di macerie o di rifugi trasformati in autorimesse, garages. Ma gli ottantenni e gli ultra ottantenni di oggi ricordano bene i percorsi della salvezza e le stragi delle bombe che cadevano dall’alto.
Una nonna di mia moglie è morta sotto quelle bombe, in una galleria dove perirono 354 persone, nel bombardamento del 23 ottobre del 1942, probabilmente una delle più grandi tragedie consumate nel centro della città.
Anche in quel caso il bombardamento dei civili era la misura terribile e drastica che gli alleati applicavano senza remore per fiaccare la resistenza di un popolo, che era ancora alleato della Germania di Hitler e che aveva meno difese, era fragile.
Genova, come Odessa, come Mariupol aveva il porto, aveva le fabbriche, perfino una grande acciaieria e, quindi, era un obiettivo sensibile. La sua conformazione di città lunga e strette, tra la costa e quelle colline scoscese, offriva un bersaglio perfetto.
Ma non è certo un bel ricordo. E’ il fantasma della guerra che riappare anche sulle nostre teste. Per questo compiacersi e interloquire con Zelensky, magari invitandolo “quando tutto sarà finito” a Genova, appare un azzardo e, comunque, una mancanza di sensibilità.
IL COMMENTO
Situazione drammatica, presidente Meloni serve incontro urgente
La Liguria vuole tornare a correre, al via i cento giorni di Bucci