Il secondo teste della mattinata del 12 dicembre per il processo del crollo del Morandi è Eugenio Babin, moldavo, che stava passando sul ponte con la allora fidanzata (e ora moglie) Natalja Yelenia, che è invece la terza teste.
Per loro un volo nel vuoto, poi l'atterraggio nelle macerie, le urla e finalmente i soccorsi. Poi il lungo periodo in ospedale e alle dimissioni il matrimonio tra i due, che arrivavano da Santa Maria di Capo a Vetere in provincia di Caserta e quel 14 agosto viaggiavano verso le vacanze in Provenza.
"Eravamo partiti per le vacanze, ero in macchina con mia moglie Natalja", ,dice Eugenio in tribunale. "C'era brutto tempo e non tanto traffico. La strada era stretta e andavamo piano. Seguivo le altre auto, eravamo sul ponte quando improvvisamente si è mosso sotto i nostri piedi, siamo stati sollevati e poi precipitati giù".
"E' successo tutto improvvisamente, pensavo di avere sbagliato qualcosa io, siamo caduti nel vuoto. Ricordo la sensazione di vuoto, sono rimasto cosciente ma mentre cadevo avevo gli occhi chiusi, in modo automatico. Non mi sono reso conto come sono caduto, ero coperto di macerie, non capivo cosa era successo. Poi ricordo l'elicottero, i vigili del fuoco. Chiedevamo aiuto e gridavamo. Non riuscivamo a uscire dalla macchina perché era schiacciata, sentivamo i dolori fisici ed eravamo sotto le macerie. Ho avuto una frattura alla spina dorsale che mi ha procurato danni". Il pm chiede se ha visto la voragine aprirsi davanti a lui? "Non posso dirlo con precisione".
Subito dopo è la volta della moglie Natalja Yelenia: "Stavamo andando in Francia, poi la macchina ha iniziato ad alzarsi, avanti, sembrava di essere su un ponte mobile, come essere in salita. Avremmo voluto scendere dalla macchina... Pioveva fortissimo, non ci rendevamo conto di essere sul ponte. Poi il vuoto... Mio marito ha visto che un pezzo del ponte era caduto, io non l'ho visto. C'era poco traffico e le auto andavano piano per la pioggia. Siamo stati sbattuti a destra e sinistra, poi il silenzio e ci siamo ritrovati in quella fossa coperti dalle macerie. Abbiamo suonato il clacson fino a scaricare le batterie".
Continua Natalja: "Poi finito lo stress e l'adrenalina ho sentito un dolore al piede che stava sanguinando. Gridavamo ma intorno non c'era nessuno. Ho pensato che potevamo morire da un momento all'altro. Poi sono arrivati i vigili che hanno scavato e ci hanno trovato".
Natalja racconta i 40 giorni in cui è rimasta in ospedale al San Martino. Poi la riabilitazione. Nel crollo ha subito lo scoppio di una vertebra lombare, il cocige rotto, il piede destro rotto con una ferita scomposta. "Ho poca sensibilità nell'apparato genitale, ho la cervicale e una neuropatia cronica".
IL COMMENTO
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