Cronaca

Il primo teste in aula, l'amministratore della Tecno El Alessandro Paravicini, parlerà del sistema di monitoraggio tranciato nel 2016 e mai più installato
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di Michele Varì

 GENOVA - Al processo Morandi tornano sotto la lente i sensori che avrebbero potuto segnalare in tempo il crollo e invece non erano neppure più installati. Ne parleranno i due testi che compariranno oggi dalle 10 nella tensostruttura di palazzo di giustizia per la prima delle tre udienze della settimana.

Il primo testimone dell'accusa sarà Alessandro Paravicini, amministratore unico della Tecno El ditta specializzata in monitoraggi che fu contattato da Autostrade per l'Italia nel 1991 per installare su tre pile del Morandi, la 9, la 10 e la 11, 24 sensori (otto per pila) in grado di rilevare variazioni di calcestruzzo precompresso degli stralli. Sensori prodotti in Giappone ma, ed ecco la prima anomalia, non collegati a nessun sistema di acquisizione dei dati.

Proprio durante l'installazione dei sensori erano in corso i lavori di manutenzione della pila 11 con la verniciatura degli stralli che, quasi per caso, fecero scoprire gravi ammaloramenti sulla stessa che per questo poi messa in sicurezza con i lavori di retrofitting effettuati con cavi esterni al calcestruzzo progettati dall'allievo di Morandi, l'ingegnere Pisani.

Agli inquirenti Paravicini ha raccontato che nel 2000 Gabriele Camomilla, direttore centrale delle Manutenzioni per Autostrade, uno degli imputati del processo, aveva richiesto dei fondi per mettere in sicurezza, dopo la pila 11, anche la 10 e la 9, che ha causato il crollo del 2018, perché si riteneva che potevano essere allo stesso modo ammalorate. Parliamo di 18 anni prima del crollo.

Il sistema di monitoraggio con 68 sensori sulle pila 11 appena rifatta e quello con meno sensori sulle pile 9 e 10 non funzionò mai bene perchè non collegato con un'adeguata centrale di acquisizione dei dati, che fra l'altro era dislocata in un locale sotto l'impalcato, lato Savona, dove vi dormivano dei clochard. Anche per questo nel '98 questo il sistema di sensori venne abbandonato.

E da allora e sino al 2005 sul viadotto Polcevera non ci fu nessun sistema di monitoraggio da parte della Tecno El di Paravicini.

Nel 2005 Aspi richiede un sistema di sensori sul Polcevera che viene terminato nel 2007 con l'ausilio di fibre ottiche e che rimase in funzione sino al 2016 con l'acquisizione dei dati via web attraverso una piattaforma a cui poteva accedere la Tecno El e Autostrade per l'Italia.

Un sistema che però venne interrotto nel 2016 perché i cavi vennero tranciati nel corso di lavori sull'impalcato svolti dalla Pavimental. Autostrade però, a conferma della superficialità con cui operava, tentò di capire i motivi del non funzionamento dei sensori solo dopo otto mesi.

Nel 2017 Tecno El propose presentò un'offerta per un progetto di ripristino del sistema di monitoraggio, a cui Autostrade non diede però una risposta sino al maggio del 2018, vigilia della tragedia, quando Aspi fa sapere che i sensori non servono più perché si intende intervenire in modo strutturale sulle pile 9 e 10 con due progetti di retrofitting.

Una decisione che lascia un dubbio angosciante: con i sensori in funzione la tragedia si poteva evitare e le 43 persone decedute nel crollo potevano essere ancora in vita?

Paravicini, il mago dei sensori, agli inquirenti che interrogarono dopo la tragedia rispose dicendo che se le cause del crollo sono stati ammaloramenti progressivi avvenuti in una lasso di tempo di minuti, di certo i sensori avrebbero potuto permettere di rilevarlo e di conseguenza di diramare l'allarme. E oggi, c'è da scommetere, su questo punto si parlerà molto nell'aula del tribunale di Genova.

Il tema dei sensori e del monitoraggio del Morandi sarà approfondito in aula anche dopo Paravicini quando davanti ai giudici Lepri, Baldini e Polidori in aula ci sarà un suo collaboratore, Andrea Caliò.