GENOVA -"Lo fermammo sul lungomare di Quinto, alla confluenza con via Pio VII, camminava sul ciglio della strada, capimmo che era lui dalla descrizione e dalla la felpa grigia, aveva lo sguardo stralunato, le nocche graffiate, gocce di sangue su un polsino della camicia. Dalla perquisizione trovammo il tesserino sanitario e lo identificammo, lui non disse nulla".
E' cominciato con la testimonianza dei quattro poliziotti delle volanti che arrestarono l'assassino il processo in corto di assiste a Alberto Scagni, il 42enne che ha ucciso la sorella Alice la sera del primo maggio dell'anno scorso sotto la casa della donna, in via Fabrizi a Quinto.
Dopo l’abbandono di due collegi difensivi di fiducia, dall’udienza di oggi Alberto Scagni è stato difeso da un avvocato di ufficio, il chiavarese Mirko Bettoli di Chiavari.
La testimonianza degli agenti ha occupato l'intera udienza, in cui non sono mancate le polemiche perché il giudice Massimo Cusatti nelle fasi preliminari dell'udienza ha respinto parte delle richieste di prove delle parti civili, spiegando che la parte civile ha un "ruolo vicario che si deve limitare al risarcimento e alla richiesta di condanna".
La reazione dell'avvocato Fabio Anselmo, legale dei genitori di Alberto Scagni, è stata dura: "In quaranta anni di carriera è la prima volta che mi viene precluso come parte civile la possibilità di interloquire in un processo dove sono regolarmente costituito su uno degli elementi fondanti la perseguibilità di un reato, e cioè l'imputabilità dell'autore, e quindi la possibilità di ottenerne il risarcimento. È un tema fondante - continua Anselmo - e come tale io ho tutto il sacrosanto diritto di esplorare questo tema. Per arrivare a capire se sussiste l'imputabilità e quindi il mio diritto di poter chiedere il risarcimento o se viceversa non sussiste l'imputabilità e quindi la mia facoltà di abbandonare l'azione civile rispetto a un soggetto che non può rispondere di ciò che ha commesso. Non c'è a mio avviso nessuna norma che mi vieti o mi precluda questa possibilità".
Dalla tragedia è nata un'inchiesta bis perchè Antonella Zarri e Graziano Scagni, i genitori di Alberto e di Alice, accusano i poliziotti delle volanti e il medico di salute Mentale della Asl3 di non avere fatto abbastanza per evitare la tragedia sottovalutando le loro tantissime richieste di aiuto, come testimoniano le 63 telefonate fatte in un mese e mezzo al servizio di Salute Mentale.
Per questo è stata aperta un'altra inchiesta che vede iscritti sul registro degli indagati due poliziotti della questura per presunte omissioni e allarmi inascoltati perché avrebbero trascurato la telefonata di Graziano Scagni prima del delitto e una dottoressa di Salute mentale, la quale non si sarebbe fatta carico con la dovuta attenzione delle istanze dei genitori del paziente. L'ipotesi di accusa per i tre operatori è di morte in conseguenza di un altro reato. Proprio per portare avanti queste accuse contro i poliziotti i coniugi Zarri si sono affidati all'avvocato Fabio Anselmo che difese la famiglia di Stefano Cucchi.
La prima poliziotta che ha testimoniato per l'accusa oggi è stata l'assistente Flavia Mantovani che ha ricostruito il suo intervento nella sera del delitto: "Abbiamo ricevuto la chiamata per una donna ferita in strada in zona Quinto, c’era carenza di volanti mi sono sganciata dalla questura e sono andata in via Nicola Fabrizi, siamo sempre stati in comunicazione via radio con la centrale. Dovevamo cercare un uomo rasato con una felpa grigia con cappuccio e un pantalone scuro, era fuggito in direzione mare, ho spento lampeggianti e sirena, poi l'abbiamo intercettato sul lungomare, gli abbiamo chiesto come si chiamasse e mi ha detto il suo nome e mi ha dato la tessera sanitaria. Eravamo in via Quinto all'incrocio con via Pio VII, io ero in direzione levante, Scagni era sul marciapiede verso il centro. L’ho riconosciuto dalla felpa e dalla testa rasata. Quando ci siamo avvicinati, si è fermato subito. Era abbastanza buio, ho notato le nocche delle mani erano un po’ graffiate, goccine di sangue vicino ai pantaloni. Non ha opposto resistenza, è stato in silenzio, abbiamo cominciato gli atti di rito. Poi è intervenuto personale della scientifica. Io ho trovato un cacciavite piccolo in tasca prima di farlo salire nella vettura di servizio".
Poi è toccato all'agente Andrea Genovesi: "Quando siamo arrivati c’erano già delle persone che erano state attirare dalle urla, la donna era per terra, nel sangue, qualcuno le praticava il massaggio cardiaco, abbiamo identificato i testimoni, aspettato il 118 e la polizia scientifica. La donna era esanime priva di sensi sdraiata con il viso verso l’alto, le hanno praticato 45 minuti di massaggio cardiaco, vicino a lei un sacchetto bianco.
Il terzo teste è stato l'ispettore Massimo Fallone che ha svolto la perquisizione dell'abitazione di Alberto Scagni in via Balbi Piovera, a Sampierdarena, subito dopo l'arrresto: "La porta era come sigillata con del nastro adesivo, come per verificare se qualcuno l'avesse aperta. Siccome non potevano portare con noi il fermato a garanzia del nostro operato abbiamo chiesto a un inquilino di assistere alla perquisizione. Quando siamo entrati in casa ho notato scritte sui muri, frasi tipo, “ho superato qualsiasi cosa Alberto Scagni" - specifica l'ispettore su una precisa richiesta del giudice - c'erano vestiti per terra, bottiglie di vino in cucina, abbiamo trovato e sequestrato sul tavolo della cucina un fodero di un coltello e un biglietto con una scritta a penna. Sul divano cassetti buttati, due telefoni cellulari, fodero e un altro coltello. Nella libreria computer, una cartuccia, una sostanza marrone, poi non risultata sostanza stupefacente, una cassaforte chiusa, l'abbiamo aperta, dentro c’era un bilancino e un altro telefono, in camera c’era un altro pc, un hd, ho chiesto intervento scientifica".
IL COMMENTO
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