Cronaca

In vista della fase tecnica al via dall'8 Aprile consegnata una relazione di 600 pagine a difesa degli indagati della società di ingegneria, la perizia conferma la tesi difensiva sostenuta da Autostrade per l'Italia
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di Michele Varì

GENOVA - Anche gli imputati della società di ingegneria Spea come quelli di Autostrade per l'Italia si difenderanno puntando il dito contro lo Stato perché quando nel '99 venne affidata la concessione del ponte ad Aspi nessuno rivelò su un difetto nascosto nella pila 9, lo strallo che ha provocato il crollo.

Lo si evince in una lunga perizia di 600 pagine inviata alla vigilia di Pasqua alle parti e di cui si parlerà nelle prime udienze della fase tecnica che cominceranno l'8 aprile.

Il vizio di costruzione a detta dei consulenti Spea è emerso solo dopo la tragedia del 14 agosto 2018 nel corso del secondo incidente probatorio dall'analisi del reperto numero 132, ritenuto anche dagli inquirenti il punto in cui è avvenuto il crollo.

Un difetto, secondo i consulenti Spea, nato nel 1966 durante la costruzione dell'ultima pila, la 9 (nella foto), per un errore nell'iniettare la malta che avrebbe dovuto bloccare i cavi di acciaio, i trefoli, nella rastrelliera alla sommità dello strallo.

Per questo errore quando furono installati e "tirati" i cavi definitivi dentro il calcestruzzo al posto di quelli provvisori all'esterno, la rastrelliera si accartocciò e l'impalcato cedette di quasi mezzo metro.

I consulenti di Spea sosterranno al processo che nel cantiere tutti si accorsero di questo ma nessuno lo fece trapelare all'esterno.Un segreto che spiegherebbe anche alcune anomalie come la sparizione del giornale dei lavori della costruzione del ponte, la non effettuazione delle prove di carico della pila nove e l'assenza del certificato del collaudo statico del ponte.

Per l'accusa, per i magistrati Terrile, Cotugno e Airoldi, invece Aspi e Spea dopo il rifacimento della pila 11 negli anni '90 avrebbero dovuto mettere in sicurezza anche le pile gemelle 9 e 10.

La consulenza depositata alla vigilia di Pasqua riguarda sedici imputati di Spea: Alemanni, Ascenzi, Bernardini, Casini, Ceneri, De Angelis, Ferretti Torricelli, Galatà, Giacobbi, Rapino, Ruggeri, Sanetti, Trimboli, Valenti e Vezil, ed è stata predisposta dai consulenti A. Antonelli, R. Felicetti, G. Ferro, R. Landolfo, C. Mazzotti, A. Meda, S. Pampanin, P. Riva, R. Roberti, A. Saetta, m. Savoia e M. Trizzino

Si legge fra l'altro nella relazione: "Il ponte fu realizzato da ANAS – Ufficio Speciale per le Autostrade, nell’ambito del Lotto 24 della A10, che comprendeva anche le gallerie gemelle di Coronata, il raccordo elicoidale con A7 e lo svincolo di Cornigliano. I lavori furono affidati da ANAS mediante appalto concorso, che fu aggiudicato alla Società Italiana per le Condotte d’Acqua, sulla base di un progetto del Prof. Riccardo Morandi, che ne fu anche progettista esecutivo, con la collaborazione dell’Ing. Claudio Cherubini.

I lavori furono consegnati il 1 luglio 1961 e furono ultimati il 30 novembre 1968, anche se vi fu la consegna anticipata di parte di essi, con apertura al traffico nell’agosto del 1967, prima dell’ultimazione; a tal fine ANAS procedette a consegnare l’opera ad Autostrade, prima del collaudo finale.

Il sistema bilanciato (la pila ndr) N. 9 fu l’ultimo ad essere completato, nel luglio 1967 (subito prima dell’apertura al traffico), dopo 28 mesi di costruzione della parte in elevazione. Durata analoga si ebbe per il sistema bilanciato N. 10, completato nell’aprile del 1967, mentre il sistema bilanciato N. 11 fu completato nel gennaio 1965, dopo 32 mesi di lavori per la parte in elevazione. Nella documentazione di cantiere, conservata presso la Società Condotte d’Acqua e sequestrata a inizio 2020, non si sono rinvenuti né i giornali dei lavori, né le tabelle di tesatura dei cavi tiranti1 , né alcun altro documento rilevante per la statica e le modalità costruttive dei sistemi bilanciati, in particolare del sistema bilanciato N. 9, né in relazione ad eventuali varianti o imperfezioni costruttive in corso d’opera.

Alla base del vizio c'è la mancata iniezione della pila 9, come si legge nella relazione, che avrebbe provocato dei vuoti d'aria impossibili da diagnosticare, se non svolgendo controlli a tappeto e di scasso sull'intera pila.

Scrivono i consulenti di Spea: "Per quanto l’iniezione possa essere accurata, può accadere, tanto più quanto più piccolo è il diametro delle guaine rispetto alla dimensione dei trefoli, che si creino, all’interno delle guaine, vuoti d’aria, eccessi di umidità (fino ad acqua separata), mancanze di aderenza ai trefoli, segregazione della boiacca o altri simili fenomeni, a seguito dei quali, in taluni punti, i trefoli non sono localmente (a volte anche per lunghezze significative) completamente immersi nella boiacca, ma hanno zone scoperte e, quindi, non passivate e potenzialmente soggette ad attacchi di corrosione. Questi sono i “difetti di iniezione” ed a questi si fa riferimento in tutta la documentazione relativa alla gestione del viadotto Polcevera, dalle relazioni Zanetti e Morandi alle prove riflettometriche. La situazione rinvenuta in sommità di Pila 9 lato Sud non è caratterizzata da “difetti di iniezione”, ma da cavità di tutt’altra origine, createsi all’interno di getti di calcestruzzo (non di boiacca iniettata), in conseguenza essenzialmente dell’ammassamento dei trefoli. L’assenza di guaine nell’ultimo paio di metri del tirante rende ontologicamente impossibili “difetti di iniezione”, in quanto senza guaine nulla poteva essere iniettato".

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