GENOVA - Al via la fase tecnica e cruciale per il processo sul crollo del viadotto Morandi che il 14 agosto del 2018 ha provocato la morte di 43 persone e per cui ci sono alla sbarre 58 persone.
Oggi davanti ai giudici Lepri, Baldini e Polidori parla il primo consulente di Spea, la società di ingegneria che aveva il compito di monitorare Autostrade per l'Italia: una missione fallita in modo clamoroso visto che ben sedici degli imputati sono ed dipendenti di questa società, ora diventata Tecne.
I primi consulenti che parleranno nelle udienze di questa settimana saranno Riva, Roberti e Ferro: ad ognuno sarà dedicata un'udienza. Il tema sarà le modalità costruttive del viadotto, gli accertamenti svolti e l'origine del crollo, il difetto della pila 9 e la correlazione fra corrosione e difetto.
La tesi dei consulenti di Spea, come quella dei tecnici di Autostrade per l'Italia, è che a provocare il crollo sia stato un difetto di costruzione sulla pila 9 avvenuto nel 1966, mai rivelato dai costruttori e impossibile da diagnosticare. Come a dire: Autostrade quando ancora era statale nel affidare la rete ad Aspi dei Benetton non ha ma rivelato di questo vizio di costruzione, e non è un caso che sia sparito il diario dei cantieri e non sia stato effettuato il collaudo statico sul Polcevera.
A creare il buco, a detta dei consulenti di Spea, sarebbe stata la mancata iniezione di malta nella sommità dello strallo, così la rastrelliera posta in cima alla pila quando sono stati tirati i cavi visto che non era bloccata si è accartocciata.
Questa anomalia durante la costruzione del ponte avrebbe provocato un cedimento dell'impalcato, la strada del ponte, di molti centimetri. Un errore di costruzione che avrebbe dovuto indurre il direttore dei cantiere a rifare la pila 9 che invece sarebbe stata rattoppata con un cavo longitudinale a rinforzare le viscere del ponte, all'interno dell'impalcato, cavo non previsto dal progetto originario di Morandi e scoperto quando è stata rifatta la pila 11.
La tesi dei consulenti di Spea, e di Aspi, che non lo dicono in modo esplicito, ma lo fanno capire, è che i responsabili del crollo sono coloro che fecero quell'errore di costruzione e non l'hanno mai rivelato, né tantomeno lo hanno trasmesso per iscritto ai gestori del viadotto.
Altra tesi dei consulenti degli imputati potrebbe essere quella di puntare il dito contro il carroponte della società che sino alla sera prima del crollo era ancorato al viadotto per permettere la sostituzione dei jersey: l'attrezzatura avrebbe lesionato l'impalcato, la strada, anche se il titolare della ditta quando è stato ascoltato in aula nelle vesti di testimone della difesa ha garantito che il carroponte non lesionato il viadotto e di avere lavorato seguendo il progetto di Aspi.
La procura si aspettava queste tesi difensive dopo l'analisi del reperto 132 del ponte da cui, nel secondo incidente probatorio, si evinceva che lì è cominciato il collasso del ponte. I magistrati dell'accusa però ribadiranno con i propri periti che dopo il rifacimento nel '99 della pila gemella numero 11 si sarebbe dovuto per logica controllare in modo adeguato anche le altre due pile, la 10, con cui si interverrà poi con delle "pezze", e la 9 su cui invece non è stato effettuato nessun intervento.
I legali degli imputati dicono però fanno notare che c'era una relazione che proprio in quegli anni aveva sentenziato che la 9 aveva una speranza di vita sino al 2030.
Per scovare il buco nascosto sulla sommità dello strallo, il famoso reperto delle macerie numero 132, i consulenti degli imputati dicono che si sarebbero dovuti fare controlli, "scassi", a tappeto sullo strallo con l'effetto di indebolirlo.
I consulenti di Spea nei giorni scorsi hanno consegnato una relazione della loro tesi, nella premessa sulle cause del crollo di legge:
"Il viadotto Polcevera (anche chiamato Ponte Morandi) è stato realizzato tra il 1960 ed il 1967. Agli inizi degli anni ‘90 il ponte è stato oggetto di importanti lavori che, in particolare per le Pile 9, 10
ed 11, hanno portato ad un sostanziale rivalutazione non solo della staticità dell’opera ma che erano anche volti ad incrementare la vita utile (con particolare riferimento agli stralli). Il collasso di Pila 9 è avvenuto circa 50 anni dopo la realizzazione del ponte e circa 25 anni dagli importanti lavori anni ’90.
La vita del ponte è stata relativamente breve rispetto all’attesa di opere in calcestruzzo armato.
La presenza di un sistema di difetti localizzato (per semplicità chiamato difetto) in una limitata porzione del tirante lato mare – lato Genova (in corrispondenza del reperto 132) ha portato al crollo del ponte.
Nel presente capitolo verrà mostrato come il difetto occulto abbia portato corrosione dei trefoli del tirante e, di conseguenza, ad una riduzione della loro sezione, creando il punto di innesco del crollo.
Questo difetto risultava non rilevabile con le tecniche allora ed anche attualmente disponibili (il difetto è stato individuato solamente dopo una meticolosa “autopsia” avvenuta post crollo) ed ha influenzato il comportamento statico dell’opera.
Questa relazione e quella che sarà consegnata dai consulenti Aspi saranno anche il cuore della fase tecnica che dovrebbe accompagnare il processo sino alla pausa estiva di luglio, nel mezzo ci sarà qualche dichiarazione da parte degli imputati.
Giovanni Castellucci, l'ex amministratore delegato di Aspi, ha annunciato che parlerà in aula solo alla fine della sfida fra consulenti e periti dei giudici, che potrebbero richiedere ulteriori relazioni per dimostrare che quel vizio era tutt'altro che occulto.
Nel caso, sostengono i magistrati dell'accusa, Terrile, Cotugno e Airoldi, che hanno coordinato le indagini della guardia di finanza, chi aveva la concessione del ponte è comunque colpevole di averlo preso in consegna senza preoccuparsi dell'assenza di un diario dei cantieri e del collaudo statico sulla pila 9.
Processo Morandi, al via sfida fra consulenti tecnici su cause del crollo
Oggi parla il primo tecnico di Spea per cui la tragedia è stata provocata da un difetto di costruzione sulla pila 9 mai rivelato dai costruttori e impossibile da diagnosticare
4 minuti e 36 secondi di lettura
di Michele Varì
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