Cronaca

Aria provata, dopo le 15 è sbucato con due agenti della penitenziaria in una piazzetta dei vicoli dove è stata individuata l'abitazione in cui rimarrà ai domiciliari. Il Gip Faggioni ha sottolineato le "esigenze investigative attenuate" e le "condotte gravi"
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GENOVA - Provato, visibilmente scosso, trascinando a passo lento le sue cose chiuse in un grande sacco nero, zainetto sulle spalle, l'ex presidente del porto ed è ex amministratore delegato di Iren Paolo Emilio Signorini, scarcerato dopo oltre due mesi di detenzione a Marassi, è arrivato dopo le 15 nell'abitazione in piazzetta Tavarone, nel centro storico, accompagnato da due agenti della penitenziaria.



Nell'appartamento alle spalle di palazzo Ducale, non lontano dal palazzo San Giorgio, la sede dell'autorità portuale che sino a poco tempo fa era il suo regno, Paolo Emilio Signorini potrà avere rapporti solo con la figlia, due fratelli e una cugina.

Il Gip Faggioni gli ha concesso i domiciliari su istanza presentata dai suoi avvocati, Enrico e Mario Scopesi, scrivendo che le esigenze investigative sono attenuate ma sottolineando l'estrema gravità delle sue condotte.

Alle vista dei cronisti che lo attendevano davanti alla casa, Signorini è rimasto impassibile proseguendo a camminare per intercettare il civico da raggiungere. Inutili le domande dei giornalisti che gli hanno chiesto le prime impressioni dopo oltre due mesi di detenzione in carcere: il manager non ha risposto.

Signorini è accusato di corruzione nell’esercizio della funzione, in particolare di essere stato corrotto dell’imprenditore Aldo Spinelli dal quale avrebbe ricevuto denaro e favori in cambio delle agevolazioni sulle pratiche del porto.

Nelle carte si parla di viaggi e soggiorni con giocate al casinò, massaggi e altri servizi extra, e poi regali – bracciali di Cartier, borse di Chanel – la promessa di un impiego dopo il mandato da presidente dell’autorità portuale.

Dopo Signorini c'è grande attesa per la decisione del Riesame sull'istanza presentata dai legali di Aldo Spinelli, il terminalista ritenuto dagli inquirenti il "grande corruttore", che chiede la sostituzione dei domiciliari con un'interdizione.

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