Cronaca

Si decidono i tempi e l'eventuale giornata di dibattimento in più ventilata dai giudici. La discussione sulla perizia integrativa al via in aula dal 3 febbraio: per i periti più scassi e manutenzione avrebbero evitato la tragedia
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di Michele Varì

Riprende oggi con un'udienza interlocutoria il processo principale sul crollo di ponte Morandi che il 14 agosto del 2018 costò la vita a 43 persone: in aula stamane si dovrebbe decidere il calendario delle dichiarazioni spontanee degli imputati che hanno deciso di raccontare la propria verità senza sottoporsi alle domande dei pm. Udienza importante per capire se i difensori dei 58 imputati hanno recepito l'invito del presidente del collegio giudicante Lepri a non fare melina e perdere tempo con lunghe dichiarazioni in aula che rischiano di allungare a dismisura i tempi del processo, il che ovviamente ha fatto infuriare i familiari delle vittime che temono la caduta in prescrizione di alcuni reati. Lepri in una delle ultime udienza aveva detto chiaramente che se i tempi delle dichiarazioni spontanee sarebbero stati lunghi sarebbe stato costretto a portare a quattro le giornate di udienze aggiungendone una quarta, il giovedì, alle consuete tre della settimana tipo che vanno da lunedì a mercoledì.

Quelle dichiarazioni spontanee infinite

Gli imputati che avevano annunciato di rilasciare dichiarazioni erano ventisette, ora fra rinunce e chi ha già parlato dovrebbero essere rimasti in 19, non pochi: se presentando una memoria parleranno in media al massimo un'oretta, il processo proseguirà con i soliti ritmi, in caso contrario servirà andare in aula anche il giovedì, almeno nel periodo delle dichiarazioni spontanee.

L'altolà del presidente dei giudici

La goccia che ha fatto traboccare il vaso nell'udienza di martedì 3 dicembre erano state le dichiarazioni spontanee dell'imputato di Spea Maurizio Ceneri, accusato di ammorbidire i report dei controlli, che hanno occupato quasi due udienze per leggere parola per parola il suo memoriale di difesa. Da lì l'avvertimento di Lepri con veemente risposta di alcuni avvocati difensori che chiedevano rispetto perchè molti arrivano da fuori Liguria e non potrebbero sopportare il peso di una quarta trasferta settimanale.

Perizia inchioda imputati principali

Per tornare al cuore del processo nell'ultima udienza del 16 dicembre scorso era emerso che la bozza della perizia supplementare chiesta dai giudici ai tre periti Losa, Valentini e Rosati conferma la tesi dell'accusa: se fossero stati più controlli con scassi sulla pila 9 come erano stati effettuati a cavallo degli anni '90 sulla 10 e sulla 11 si sarebbe potuto scoprire anche il difetto di costruzione che avrebbe originato il collasso del 14 agosto 2018 costato la vita a 43 persone.

Servivano controlli sulla pila 9

Adesso i consulenti delle difese e delle parti civili ha tempo sino al 12 gennaio 2025 per presentare delle osservazioni, quindi entro il 31 dello stesso mese i periti dovranno consegnare la perizia bis definitiva che sarà discussa in aula dal 3 febbraio, giorno della prima udienza del processo del prossimo anno.

I periti hanno distrutto il valore delle prove riflettometriche utilizzate da Autostrade per l'Italia e Spea basate su impulsi elettrici che molti imputati hanno utilizzato per confermare che i controlli sul ponte venivano fatti: "Verifiche poco attendibili - hanno rimarcato gli ingegneri - quelle di tipo non distruttivo eseguite nel tempo sugli stralli dei 3 sistemi bilanciati del viadotto Polcevera, ai fini della individuazione dello stato di ammaloramento dei cavi degli stralli, l'unica modalità di verifica era costituita dalle ispezioni visive con scassi locali/carotaggi". Con questo tipo di ispezioni sarebbe stato possibile individuare le "modifiche al sistema di tiranti rispetto al progetto". Si sarebbe così proceduto ad altri approfondimenti. Il pool di esperti ha poi spiegato che l'entità della corrosione "è assolutamente imputabile a fattori esogeni" e cioè all'acqua e all'ossigeno che sono entrate dentro il calcestruzzo dalle fessure esterne.

La denuncia di Mion, "difetto noto"

La tesi principale della difesa degli imputati per cui sino all'incidente probatorio effettuato dai periti dopo il crollo del 2018 nessuno sapeva del difetto di costruzione invece non sembra reggere dopo le dichiarazioni clamorose del più importante testimone ascoltato in aula, quel Gianni Mion, amministratore delegato della holding dei Benetton, che prima agli investigatori della guardia di finanza e poi ai giudici ha confermato che "già in un riunione di informazione della Holding Atlantia del 2010 era stato detto che il ponte era a rischio crollo per un difetto di costruzione", incontro in cui ad una sua domanda su chi certifica la sicurezza della struttura, il direttore generale Mollo aveva risposto, lasciando di stucco Mion, "ce la certifichiamo noi". Mion, che non è stato indagato, ha detto di essere pentito di non avere detto nulla per impedire che questa consuetudine andasse avanti, "quando seppi del crollo mi sarei sparato un colpo alla testa" aggiunse a Primocanale dopo essere uscito dall'aula del processo.

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