Cronaca

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Il brigatista aveva 78 anni, era stato condannato con sentenza definitiva per numerosi fatti di sangue a cominciare dal sequestro del giudice genovese avvenuto ad Albaro nel 1974
4 minuti e 40 secondi di lettura
di Michele Varì

È morto all'età di 78 anni Alberto Franceschini (a destra nella foto), uno dei fondatori delle Brigate Rosse insieme a Renato Curcio e Margherita Cagol. 

Arrestato dal generale Dalla Chiesa

Franceschini era stato arrestato dai carabinieri del generale Dalla Chiesa e venne condannato con sentenza definitiva perché ideatore del sequestro del giudice genovese Mario Sossi (a sinistra nella foto) e per l'omicidio di due esponenti del Msi a Padova nel 1974

Il decesso del brigatista è avvenuto l'11 aprile scorso, ma la notizia è stata diffusa soltanto nelle scorse ore.  

Franceschini era nato a Reggio Emilia da una famiglia di tradizione comunista, un'origine, per sua stessa ammissione, che ha facilito la sua militanza. Ha sempre sostenuto che il suo percorso nelle Br era un seguito della lotta partigiana, una sorta di filo rosso.

Entrato in politica giovanissimo nelle fila della Fgci, da cui fu deluso dopo degli scontri con il servizio d'ordine del Pci in una manifestazione nel 1969 contro la base Nato di Miramare di Rimini, Franceschini nel febbraio del 1971 non si presenta al servizio militare di leva e inizia la clandestinità: è stato il primo brigatista ufficialmente latitante.

Fra i fondatori delle Brigate Rosse nel '70

A Milano, nel 1970, aderisce alla lotta armata e fonda con Renato Curcio le Brigate Rosse, diventandone uno dei leader.

Arrestato insieme a Curcio l'8 settembre del 1974 grazie alla collaborazione di Silvano Girotto, conosciuto come 'Frate Mitra', Franceschini sarà per anni uno dei brigatisti più attivi nelle carceri speciali. Sempre dalla prigione, aderisce al Partito Guerriglia di Senzani dopo la scissione di quest'ultimo dalle Br di Moretti. Sarà uno dei maggiori fautori della caccia a quelli che l'organizzazione terroristica riteneva "infami" e ciò comporterà alcune brutali esecuzioni di militanti accusati di delazione fino ad arrivare a minacciare di morte anche Toni Negri nel cortile del carcere di Palmi, accusandolo di cercare patti con l'autorità giudiziaria.
 

Nel 1982 si dissociò dalla lotta armata

Nel 1982 Franceschini si dissocia dalla lotta armata e, pur non rinnegando la sua militanza, prenderà le distanze dalla violenza politica esprimendo pentimento. Nel 1987 gli vengono concessi i primi permessi premio e poi i domiciliari.

Nel '92 estingue la pena e torna libero

Lascia il carcere definitivamente nel 1992 a pena estinta e, dopo 18 anni di reclusione, lavora presso l'Arci Ora d'Aria.

A febbraio del 2024 l'ultimo caso politico di cui è stato protagonista, quando fu identificato insieme con altre persone che si erano trovate a Milano nei giardini dedicati ad Anna Politkovskaya per commemorare Alexei Navalny.

Il rapimento di Sossi nel '74

Franceschini è stato fra i registi del sequestro del giudice genovese Sossi che  venne rapito dai brigatisti il 18 aprile del ‘74 a Genova mentre aspettava l’autobus sotto casa sua, in via Forte San Giuliano 2, ad Albaro. Sossi finì nel mirino dei brigatisti in quanto pubblico ministero nel processo ai terroristi del Gruppo XXII Ottobre, "I Tupamaros della Valbisagno", considerato la cellulare originale delle Brigate rosse. Il suo rilascio avvenne il 23 maggio dello stesso anno a Milano senza che le condizioni poste dai brigatisti venissero accettate.  Una volta liberato, dopo 42 giorni in un carcere del popolo, invece di correre dalla polizia e dai carabinieri, Sossi prese un treno per Genova, andò da un medico legale suo amico, si fece radere la barba e, infine, tornò a casa, dalla moglie e dalle figlie.

Originario di Imperia e morto a Genova nel 2019, Sossi fu il primo magistrato rapito dalle Brigate Rosse e tra i primi a indagare sul terrorismo rosso. Il suo rapimento rappresentò un “salto di qualità” nella strategia dei terroristi e diede vita a una drammatica trattativa tra lo Stato e i brigatisti quattro anni prima del sequestro del leader della Dc Aldo Moro. Le Brigate rosse chiesero in cambio la scarcerazione di alcuni terroristi detenuti e un aereo per raggiungere in volo un paese "amico’". Lo Stato accettò le condizioni, ma la liberazione dei detenuti fu impugnata davanti alla Cassazione dal procuratore generale di Genova Francesco Coco e bloccata.

Quel no che costò la vita al procuratore Coco

Per questo Coco, alle 13,38 dell'8 giugno 1976 venne ucciso in salita Santa Brigida insieme ai due uomini della sua scorta, Giovanni Saponara e Antioco Deiana, da un commando brigatista. 

Il rapimento di Sossi fu la prima circostanza nella quale il Governo, e in particolare la Dc e il Psi sperimentarono la politica della fermezza, che tre anni dopo, durante il sequestro Moro, divise profondamente il paese e i partiti politici tra chi voleva trattare con i terroristi e chi invece negava un dialogo che avrebbe potuto salvare la vita allo statista cattolico poi fatto trovare nel '78 senza vita in via Fani.

Ideatore del sequestro Sossi

A sequestrare Sossi fu un commando composto da due brigatisti: Alfredo Bonavita e Maurizio Ferrari.  Sossi venne incatenato, coperto da un sacco di iuta e fatto salire su un furgone diretto alla “prigione del popolo”, una villetta di Tortona acquistata da Franceschini, che gestì l’intera trattativa.

Sossi era stato additato come nemico del popolo dalle Br per avere condannato i brigatisti della XXII Ottobre ma all'opinione pubblica era diventato noto per l'inchiesta sugli scioperi negli ospedali psichiatrici di Quarto e Cogoleto, l'arresto di alcuni edicolanti che avevano esposto al pubblico riviste pornografiche e l'arresto dell'avvocato Giambattista Lazagna, sospettato di aver rubato armi ed esplosivi, poi prosciolto in istruttoria.

Interrogò Sossi

Sossi fu anche sottoposto a un interrogatorio da parte di Franceschini, coadiuvato in questo da Pietro Bertolazzi, detto il "Nero", anche lui arrestato dai carabinieri di Dalla Chiesa e morto nel gennaio del 1922 nel piacentino.

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