GENOVA - Nel giorno in cui Alberto Scagni viene interrogato in carcere a Marassi per l'omicidio della sorella Alice, ammazzata con 20 coltellate la sera del primo maggio davanti alla sua abitazione in via Fabrizi, a Genova Quinto, parla la mamma Antonella Zarri. La raggiungiamo telefonicamente: "Qua non c'è nessuno spettacolo" dice Antonella che è lucida e dura, profonda e ferma e con estrema chiarezza denuncia l'assenza di polizia, sanitari, una tragedia annunciata che poteva e doveva essere evitata.
"Noi abbiamo seguito quelle che erano le regole. Abbiamo chiamato il 112 come ci avevano detto. Alice avrebbe fatto così per noi, nello stesso identico modo. Posso comprendere se i protocolli funzionano ma se poi dal protocollo esce un cadavere... Io chiedo solo che venga rivisto per non avere il prossimo. Alice non torna più. Che non ci siano altre Alici, che non ci siano altri Alberto. Hanno perso la vita tutti e due".
"Alberto pagherà, la giustizia umana deve fare il suo corso ma anche un po' di più. Dobbiamo almeno tentare che questo non succeda ancora, almeno avere la certezza che chi doveva far qualcosa non ha fatto nulla. Non ha alzato il sedere dalla sedia della scrivania, ha detto 'fate denuncia domani perché oggi è il primo maggio', ma lui era in servizio. Non ci ha messo la testa in quello che gli abbiamo raccontato, ci sono giorni di narrazione alle forze dell'ordine, non di stuzzicadenti nei citofoni che comunque è certo che potevano già essere considerati dei primordi di follia. Ma tutto quello che è successo dopo. Siamo nel 2022, non c'è un computer dove una persona che viene segnalata più e più volte al 112 con nome, cognome e codice fiscale? Non si può vedere quello che è successo in quattro giorni, l'urgenza della situazione? 'Non abbiamo una volante, fate denuncia domani'. Davanti al cadavere di nostra figlia abbiamo trovato cinque volanti, 30 poliziotti. È un insulto. Quindi il protocollo non ha funzionato. Fate servizio: fate in modo che la prossima volta funzioni, che si faccia prevenzione, che i poliziotti non siano becchini".
"Ci siamo accorti che era pericoloso almeno due mesi fa. Abbiamo fatto immediatamente le segnalazioni alla salute mentale di Fiumara visto che siamo di Sampierdarena. Abbiamo fatto tentativi col suo medico di base, che ha fatto il medico di base, proprio base. L'ha visto quattro giorni fa. Era normale? Ha attivato qualcosa? Era allertato della situazione, attenzione, chiaro che uno psicotico si possa non riconoscere se si comporta in modo normale, non siamo psichiatri e non lo sono quelli del 112, non c'era la pretesa che lo riconoscessero a vista. Volevamo che attivassero un medico. Il protocollo non ha funzionato, la procedura non ha funzionato. Le nostre colpe le conosciamo, ci tortureremo per tutta la vita. Ma noi non avremo un'altra occasione. Lo Stato ha un'altra occasione, le istituzioni in cui Alice credeva avranno un'altra occasione per non ripetere questo errore. La prego per quello che è in suo potere: segnali questa cosa".
"Abbiamo chiamato il 112 il primo di maggio. Il 112 è il numero di emergenza. Non hanno valutato che era un'emergenza. Ci dicano su quali elementi hanno fatto questa valutazione. Abbiamo dato chiari elementi di urgenza e pericolosità. Elementi con prove registrate che abbiamo chiesto, supplicato piangendo, venissero ad ascoltare una pattuglia, perché era il primo maggio e gli uffici erano chiusi per le denunce. Abbiamo supplicato venisse anche una volante che passava per caso per strada a fare le multe per divieto di sosta. Ci hanno detto che non avevano una pattuglia disponibile. Alla sera davanti al cadavere di nostra figlia c'erano 5 pattuglie. Questa non è fare prevenzione, è fare i becchini".
"Mi hanno chiesto se avevo eventi fisici da segnalare, se avevo prove che l'incendio alla porta di mia madre era colpa sua. Ho detto personalmente agli agenti di parlargli, stare con lui, guardarsi in giro e controllarlo. Non vogliamo fare la fine delle storie di Benno. E avremmo voluto essere noi genitori ammazzati e Alice viva col suo bambino. Un agente venuto in casa mia sabato per interrogarmi per mezz'ora, dopo l'incendio della porta di casa di mia madre, è andato alla porta, si è girato e mi ha riso in faccia dicendo 'Signò, non facciamola tragica'. Gli ho sciorinato tutti gli elementi per cui mio figlio era pericoloso per sé e per gli altri. E lui è uscito dicendomi quella frase. Qualcuno si deve guardare allo specchio e dirsi che non ha saputo fare il proprio lavoro. E non solo quell'agente, decine, poi i medici: tutti quelli che avevano avuto a che fare con Alberto".
"Alice non aveva paura, erano fratelli e si volevano bene. Mio genero mi ha detto che le ultime parole di Alice scendendo per portare il cane sono state 'perché devo avere paura di Alberto, mi vuole bene'. Mi chiedo perché la polizia non si sia chiesta il significato di quei post su Facebook con le armi".
"Guardano su Facebook chi manda scemo a Bassetti? Quello è importante? Ma su Facebook quello che scriveva Alberto, io non lo guardo ma dicono che erano post deliranti. E alla prima segnalazione non vanno a vedere quello che è pubblico? Non possono fare un'irruzione in casa? Benissimo! Guarda tutto quello che puoi vedere, e la Polizia può vedere tutto. Potevano farsene un'idea, fare una valutazione della pericolosità sociale dell'elemento. Si devono solo vergognare. Basta. Perché per me è doppiamente straziante. Fate il vostro servizio, fate in modo che le cose cambino, cambi l'ipocrisia della prevenzione del crimine, perché io non lo posso sopportare più".