Sono tornati. E' tornato Steva, è tornata Giggia, sono tornati Matilda e Cesare, Carlotta, Riccardo e tutti gli altri. Ma soprattutto è tornato un caposaldo del teatro in genovese, quei 'Maneggi per maritare una figlia' di Nicolò Bacigalupo che rappresenta il vertice dell'arte sublime di Gilberto Govi, icona immortale del teatro comico tout court, inventore di espressioni rimaste nella parlata anche di chi genovese non è. A lanciarsi in un'operazione trionfalmente retrò, visto il successo che sta ottenendo, è Tullio Solenghi con uno spettacolo co-prodotto da Teatro Sociale Camogli, Teatro Nazionale di Genova e Centro Teatrale Bresciano in scena fino al 31 dicembre al Teatro Ivo Chiesa di Genova, ovvero a poche centinaia di metri da quel 'Margherita' di via XX settembre dove per anni si esibì Govi. Solenghi che non interpreta Govi ma grazie alla sua bravura e a un trucco prodigioso diventa Govi, sera dopo sera.
Che cosa significa per lei recitare Govi qui a Genova?
“E' la riscoperta necessaria di chi ci ha innestato il Dna della comicità e parlo di tutte le generazioni che sono venute dopo, a partire da Carlo Dapporto fino a Maurizio Lastrico e agli altri che hanno successo oggi. L'iniziatore della specie è stato lui e allora credo fosse doveroso riscoprirlo o magari – per le nuove generazioni – imparare a conoscerlo. Vedo arrivare a teatro famiglie intere: i nonni che lo hanno visto dal vivo, i genitori che se lo sono gustato in televisione quando le sue commedie spopolavano negli anni sessanta e adesso i nipoti che vengono sulla fiducia di quanto è stato detto loro e poi si sbellicano dalle risate per questo genio del teatro, autentica maschera genovese”.
Si sarebbe mai aspettato di portarlo in scena?
“Era il mio sogno nel cassetto, adesso finalmente il cassetto si è aperto e il sogno è uscito. C'è una frase che dico sempre alla fine di ogni replica ai tanti spettatori che ci onorano della loro presenza: che non è solo uno spettacolo ma un rito collettivo. Vedo persone che ripetono insieme a me battute che fanno ormai parte della nostra memoria storica: 'gassetta e pomello', Giovannino con le braghe dell'anno passato... Tutto questo dà un valore aggiunto straordinario. In più c'è una sorpresa che ovviamente non vi svelo che ho voluto aggiungere proprio per affrancarlo ancora di più al grande Gilberto”.
Il successo dei 'Maneggi' sfata anche il luogo comune che considerava il dialetto qualcosa di superato, andato in soffitta dopo che quello che per trent'anni a Genova era stato il suo tempio, il Teatro Carignano, si è riciclato in un altro modo...
“Ho voluto restituirgli la sua legittima importanza. Forse nell'accezione comune 'dialetto' è una parola non dico negativa ma quasi, ricordo che quando eravamo piccoli ci dicevano: parlate in italiano. Io l'ho sempre difeso, per me è una seconda lingua, mi considero uno che parla l'italiano, mastica un po' l'inglese e si esprime benissimo in genovese mettendolo al livello delle altre lingue perché è la nostra storia. Ci sono esclamazioni, come per esempio 'maniman', che non sono traducibili perché il dialetto ha un'immediatezza assoluta ed è talmente radicato nella nostra cultura che non è possibile trovare un equivalente. Se grazie a Goldoni ed Eduardo vengono giustamente onorati il veneto e il napoletano credo che allo stesso modo vada rivalutato il genovese e Govi in questo ci dà una mano fondamentale”.
Anche il cast (Roberto Alinghieri, Riccardo Livermore, Isabella Maria Loi, Pier Luigi Pasino, Federico Pasquali, Stefano Moretti, Stefania Pepe e Laura Repetto) contribuisce al successo della commedia
“Non c'è dubbio, perché dal momento che nelle scuole di teatro non si insegna non è facile trovare attori che sappiano il dialetto e siano efficaci in scena. Io ho avuto la fortuna di scoprire una compagnia straordinaria a cominciare dalla mia socia Elisabetta Pozzi che fa la parte di Rina Govi e sono riuscito anche a sfatare la leggenda che ormai i giovani il dialetto non lo parlano più. Lo parlano e lo recitano anche molto bene”.
L'uso del dialetto può essere anche un invito e un monito a non dimenticare le proprie radici?
"Assolutamente. Per esigenze lavorative, una fra tutte il 'Trio' che tra l'altro ho fondato proprio a Genova, ho dovuto trasferirmi a Roma ma non ho mai reciso il cordone ombelicale con la mia città e con il mio dialetto. Ho un amico con il quale abbiamo il tormentone mensile di una telefonata che deve essere obbligatoriamente in zeneize. In tutti questi anni non ho mai perso un'abitudine che mi ha consentito di continuare a frequentarlo per cui per me recitare Govi è come recitare la lingua della mia infanzia”
IL COMMENTO
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