L'anno scorso è stato protagonista di un successo clamoroso e assolutamente insperato. Perché riportare in scena Gilberto Govi a quasi sessant'anni dalla scomparsa era qualcosa di più di una semplice scommessa. Eppure, testardamente, Tullio Solenghi ci ha provato, ripagato da più di 50.000 spettatori che hanno visto 'I maneggi per maritare una figlia' in Italia e non solo. Se non un trionfo, poco ci manca. A cosa è dovuto secondo te? "Credo sia per il ricordo indelebile che ha lasciato Govi. Certo, in questo risultato inaudito forse era abbastanza prevedibile, se pure non nella misura in cui è avvenuto, che Govi avesse un grande successo in Liguria, in tutte le piazze liguri che abbiamo fatto. Ma che questo successo sia stato replicato, ad esempio, anche a Roma, quello non non ce l'aspettavamo. Quando si fa il suo nome è come se nascesse una magia, pensa che mi hanno telefonato amici di Palermo chiedendomi di portarlo anche lì. Certo, sono miei coetanei, anche loro erano ragazzini quando era in tv, evidentemente ha polarizzato l'attenzione grazie al suo talento smisurato che ha lasciato un ricordo indelebile, però a teatro ho visto anche tanti giovani che non l'hanno visto da bambini e avevano lo stesso tipo di reazione degli spettatori della mia età".
Adesso ci riprovi con 'Pignasecca pignaverde' che inaugura il prossimo 4 ottobre la stagione del Teatro Sociale di Camogli. Perché hai scelto questo titolo? "Sicuramente i tre grandi cavalli di battaglia, quelli che la gente ricorda di più, sono 'I maneggi', 'Pignasecca' e 'Colpi di timone'. E allora un pò tutti mi dicevano: ma perché non fai 'Pignasecca'? Insomma c'era già una sorta di attenzione a questo titolo che è molto bello e divertente anche se ha una stesura diversa da quella dei 'Maneggi' perché qui Govi è un personaggio negativo, l'avaro taccagno che darebbe la figlia in sposa al cugino anziano, il più ricco mercante di Sampierdarena, pur di avere un un partito con le palanche. Va detto però che è una commedia assolutamente esilarante, con tutte le caratteristiche giuste per essere portata in scena"
Felice, il protagonista di 'Pignasecca', è diverso dallo Sveva dei 'Maneggi'. "Completamente. Basta vedere come qui entrava in scena Govi: all'entrata ovviamente lo applaudivano, lui salutava il pubblico con un sorriso ma subito dopo cambiava completamente espressione perché il protagonista Felice Pastorino prevede uno sguardo completamente diverso, dell'avaro che è".
E' stato complicato entrare nel personaggio? "Stiamo provando e siamo ancora a metà del percorso. Però no, diciamo che si sto riscoprendo zone di Govi meno usate. E' raro vederlo mostrare in scena la sofferenza del personaggio, l'emozione e la commozione. Quindi da questo punto di vista mi attira ancora di più".
Nei 'Maneggi' eri stato molto rispettoso del personaggio tanto da - in un certo senso - clonarlo. Vale lo stesso per 'Pignasecca'? 'Assolutamente. Perché è una maschera, un mito da non toccare"
Qui poi si affronta uno dei tempi classici della genovesità, l'avarizia. "Sì, è chiaro che lui dell'avarizia dà un po l'interpretazione di più di uno che è legato alla sua roba. Però il senso è che non vuole sperperare quello che ha e gli è costato sudore, fatica, lacrime e sangue. Quindi, insomma, in un certo senso, coniuga l'avarizia in maniera forse meno meno paranoica e meno folle".
IL COMMENTO
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