Cultura e spettacolo

Dal regista di 'Notting Hill' una storia vera che ricorda le pellicole di Frank Capra
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di Dario Vassallo

Newcastle, 1961. Kempton Bunton, tassista sessantenne, è un uomo del popolo, figlio della classe operaia in una delle città più industriali del Regno Unito. Combattente per diverse cause sociali, permette ai veterani di guerra di viaggiare gratuitamente nel suo taxi, difende un collega asiatico da un superiore razzista e viene più volte licenziato per motivi di principio sui quali non vuole assolutamente transigere. Ma c’è una battaglia in particolare che lo vede in prima linea: quella contro il canone TV che vuole abolito per gli over 70 in modo che tutti gli anziani, e soprattutto i più poveri, possano trascorrere il tempo divertendosi davanti al piccolo schermo. Allo scopo, raccoglie firme per strada facendosi aiutare dal figlio Jackie senza badare agli sguardi di riprovazione della moglie Dorothy.

A scuotere questa missione votata a correggere i torti del mondo in cui vive è la notizia che la National Gallery di Londra ha speso 140.000 sterline per acquisire il famoso dipinto di Francisco Goya "Il duca di Wellington", che tra l’altro giudica nemmeno lontanamente carino. Fa due calcoli e scopre che quella somma di fondi pubblici sarebbe servita per pagare almeno 3500 canoni televisivi salvando molta gente dalla solitudine. Così decide di rubare il dipinto, aiutato anche in questo caso dal figlio. Un’impresa pazzesca che però riesce tanto che la tela di Goya finisce nascosta nel doppio fondo di un armadio di casa con la moglie inorridita e sconvolta. Mentre la polizia ritiene che soltanto una mente criminale internazionale abbia potuto compiere un simile furto, Kempton lancia il suo ultimatum: restituirà ‘Il duca di Wellington’ a condizione che il governo si impegni di più nel sostenere gli anziani. In realtà, dopo pochi giorni viene scoperto e subisce un processo che attira l’attenzione di tutto il paese vedendolo protagonista con le sue filosofie socialiste ruspanti e fatte in casa.

Solo la vita vera avrebbe potuto scrivere una sceneggiatura simile perché il fatto è accaduto realmente rimanendo nell’immaginario della cultura pop dell’epoca tanto che il quadro è apparso nel primo film di James Bond con Sean Connery che solleva un sorriso ironico vedendolo appeso nella casa dell’antagonista, il dottor No. Roger Mitchell, regista di ‘Notting Hill’, affidandosi a due grandi attori come Jim Broadbent ed Helen Mirren e adottando gli stessi toni amabili e accessibili che caratterizzano i suoi film scardina il genere. C’è sempre qualcosa di affascinante quando si parla di rapine: l'idea di un piano astuto, mesi di preparazione, magari un’intera squadra di ladri reclutata per un lavoro che - se portato a termine – li renderà ricchi.  Ma sebbene ‘Il ritratto del Duca’ ci racconti di una rapina che definire audace è perfino limitativo, non è affatto l'archetipo di questo tipo di film, il che lo rende ancora più intrigante. Perché a Mitchell più che del furto in sé interessa l’autore e il piccolo nucleo familiare che lo circonda, prima fra tutti la moglie con la quale non è ancora riuscito ad elaborare il lutto per una figlia morta in un incidente in bicicletta: lui soffre per avergliela comprata, lei non vuole più parlarne perché nulla può essere cambiato. In questo modo ‘Il ritratto del Duca’ trae il suo potere non dalle circostanze fattuali dell'evento, ma dal gioco di sentimenti, emozioni e motivazioni che gli stanno dietro.

Ed è il motivo per cui Kempton Bunton, questo diamante grezzo con cuore d’oro e nobili intenzioni, testardo e fastidioso ma dal fascino disarmante, improbabile ed eccentrico antieroe, fa ancora più tenerezza in una storia nella quale aleggia forte lo spirito di Frank Capra: un piccolo gioiello che rivela l'essenziale bontà della natura umana, l’affascinante rivisitazione di un bizzarro evento reale con una persona che si oppone al potere dello Stato, alfiere di una sottoclasse dimenticata che si scaglia contro i poteri forti. E per Roger Mitchell, che purtroppo è morto tra la fine del film e la sua uscita, rappresenta un epitaffio che non deve essere dimenticato.