Metà dei medici e degli infermieri che lavorano nei reparti di medicina interna sono così stressati da andare incontro alla sindrome di burnout. Il dato è emerso dallo studio "Sull'orlo di una crisi di nervi" della Fadoi, la società scientifica degli internisti, duemila i professionisti intervistati. La metà di loro pensa di licenziarsi entro la fine dell'anno.
Medici e infermieri sono depressi, stressati e in perenne carenza di sonno per orari di lavoro che vanno ben oltre il lecito, carichi di lavoro impossibili da gestire. Il tutto aggravato da mancanza di riconoscimento del valore di quanto con competenza professionale si fa, un numero di pazienti per medici e posti letto che rende quasi impossibile instaurare un rapporto empatico con i pazienti e la burocrazia che rende tutto ancora più difficile.
In totale a dichiararsi in 'burnout' è il 49,6% del campione ma la percentuale sale al 52% quando si parla di medici, per ridiscendere al 45% nel caso degli infermieri. E in entrambi i casi l’incidenza è più del doppio tra le donne, dove permane la difficoltà di coniugare il tempo di lavoro con quello assorbito dai figli e la famiglia in genere.
Un altro fattore che influisce è l'età, visto che il burnout è meno diffuso tra i più giovani, riguarda circa il 30% degli under 30.
Lo studio sottolinea come la mole di lavoro a cui i sanitari sono sottoposti mette a rischio la salute sia di chi lavora in ospedale che dei pazienti. Operare quando si è molto stressati aumenta il rischio di commettere errori sanitari: in Italia le stime parlano di 100mila all'anno. Uno studio condotto dalla Johns Hopkins University School of Medicine e dalla Mayo Clinic del Minnesota ha rilevato almeno un errore grave nel corso dell'anno nel 36% dei camici bianchi in burnout.
"L’influenza del burnout sulle malattie professionali è un fatto oramai acclarato dalla letteratura scientifica" - dichiara Francesco Dentali, Presidente Fadoi - il rischio di infarto del miocardio e di altri eventi avversi coronarici è infatti circa due volte e mezzo superiore in chi è in burnout, mentre le minacce di aborto vanno dal 20% quando l’orario di lavoro non supera le 40 ore settimanali salendo via via al 35% quando si arriva a farne 70. Evento sempre meno raro con il cronico sottodimensionamento delle piante organiche ospedaliere".
E il problema si fa ancora più sentire quando si ricopre un ruolo di responsabilità. Tra i coordinatori infermieristici il 45% è infatti in burnout e la stessa percentuale pensa di licenziarsi entro l’anno, lasciando così ancora più sguarnita la trincea del pubblico, magari per andare a rinforzare quella del privato o di qualche altro Paese, dove le retribuzioni arrivano ad essere anche il doppio di quelle del nostro sistema sanitario nazionale.
Senso di frustrazione, sensazione di non riuscire ad andare avanti e senso di colpa per avere dovuto trascurare qualche paziente sono tra i sentimenti più ricorrenti tra i coordinatori infermieristici.
Percentuali appena più basse si rilavano tra i coordinatori medici, dove in burnout è il 31,8%, mentre la percentuale di chi pensa di licenziarsi entro l’anno è del 47,4%. Qui a sentirsi emotivamente sfinito è l’80% del campione, mentre il senso di frustrazione accompagna il 60% di loro e il 70% sente di non poter assolvere adeguatamente ai propri compiti. Percentuali simili a quelle rilevate per i medici in corsia, dove però scende al 53% la sensazione di trattare adeguatamente in modo troppo impersonale i propri pazienti.
La ricerca Fadoi contiene però anche un positivo e inedito rovescio della medaglia. Nonostante le difficili se non impossibili condizioni di lavoro e il risvolto che queste hanno su psiche e salute dei professionisti sanitari, tanto la stragrande maggioranza dei medici che quella degli infermieri "sente di aver affrontato efficacemente i problemi dei propri pazienti" e di "aver realizzato molte cose nel corso della propria attività lavorativa". Mentre nello specifico l’84% dei camici i bianchi "crede di influenzare positivamente la vita delle altre persone con il proprio lavoro” e nel 73% dei casi si sente “rallegrata dopo aver lavorato con i propri pazienti".
IL COMMENTO
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