Se non è un record poco ci manca, di certo è una prima volta. Dopo Fabio De Iaco un altro genovese si trova alla guida a livello nazionale della società italiana di medicina-urgenza (Simeu) per il triennio 2025-2027. Si tratta del dottor Alessandro Riccardi, laureato a Genova, dirige il pronto soccorso dell'ospedale Santa Corona di Pietra Ligure dal 1 febbraio del 2024 dopo aver guidato il pronto soccorso di Imperia per un anno. E questo è un altro punto in comune con il suo predecessore, De Iaco, prima di arrivare a dirigere il pronto soccorso dell'ospedale Maria Vittoria di Torino, guidò anche lui quello di Imperia. "Ci divide solo la fede calcistica" scherza con Primocanale. De Iaco, presidente uscente, è entrato intanto di diritto nell’ufficio di presidenza del prossimo triennio come past president.
Influenza e festività: mix esplosivo soprattutto nelle località turistiche
In questo periodo dell'anno alle ormai croniche problematiche del settore dell'emergenza, a creare la tempesta perfetta, c'è l'aumento dei casi di influenza e le festività che stanno mettendo a dura prova il sistema dell'emergenza, con sempre meno medici e infermieri, spesso anche loro ammalati a causa dei virus di stagione. "Il periodo natalizio è storicamente uno dei più complicati per il nostro lavoro, e quest’anno non fa eccezione - racconta Riccardi - molte strutture territoriali, come gli studi dei medici di base e i servizi di continuità assistenziale, riducono le attività e questo spinge molte persone a rivolgersi ai pronto soccorso anche per problemi non urgenti. Per patologie influenzali aumentano il numero degli accessi, creando sovraffollamento, non dimentichiamo inoltre il caso delle località turistiche che vedono un ulteriore afflusso a causa dei visitatori presenti in questo periodo". Per queste settimane di sovraffollamento in pronto soccorso l'appello che arriva da Riccardi è "di fare un passaggio con il proprio medico di medicina generale prima di recarsi in pronto soccorso anche se noi siamo sempre aperti".
Il boarding e la dignità che si perde
"Ogni paziente in pronto soccorso in attesa di un ricovero in reparto rallenta il lavoro di 12 minuti e questo è insostenibile per la dignità dei pazienti e per chi ci lavora". Il neo presidente nazionale della società italiana di emergenza-urgenza (Simeu) cita a Primocanale uno studio inglese per raccontare quello che è uno dei punti nevralgici al centro delle difficoltà dei pronto soccorso italiani, quello che tecnicamente si chiama boarding, e che rappresenta il tempo di permanenza prolungato di pazienti in pronto soccorso, spesso in barella e in corridoi, in attesa di un ricovero in reparto.
Secondo Riccardi in pronto soccorso si paga l'inefficienza di tutto il sistema sanitario che andrebbe completamente rivisto. "Perché il pronto soccorso è, da sempre, considerato come l’unico luogo infinitamente espandibile dell’ospedale? - si chiede Riccardi - perché i professionisti dell’emergenza sono considerati da sempre inesauribili, e in grado di curare un numero pressoché infinito di malati?"
"Il boarding si verifica quando c'è un disallineamento, tra la richiesta di posti letto per acuti e la disponibilità degli stessi in ospedale e questo rallenta il sistema dell'emergenza, riduce la capacità di accogliere nuovi pazienti e di fornire cure in tempi brevi - spiega Riccardi - il Ministero della Salute ha fissato un limite massimo di otto ore per trasferire i pazienti già destinati a un reparto, ma questo viene spesso superato. Un'indagine condotta dalla Simeu su quattro milioni di accessi ha rivelato che quasi la metà dei pazienti attende ben oltre il limite prefissato. E' un problema di dignità oltre che di efficienza: negli ultimi decenni abbiamo assistito a una progressiva riduzione dei posti letto ospedalieri per ragioni di contenimento dei costi, ma le conseguenze sono devastanti, soprattutto per i pazienti anziani con patologie croniche, una delle categorie più vulnerabili che spesso rimangono bloccate in pronto soccorso per giorni. Il pronto soccorso intasato in entrata si gestisce, ma non in uscita visto che non dipende da noi". Un problema talmente sentito che anche in alcuni pronto soccorso liguri ci sono medici dedicati solo al boarding.
Numerosi studi documentano come questa attesa in pronto soccorso causi tempi più lunghi per i percorsi di cura di tutti i casi presenti in pronto soccorso, con riscontri e percezioni negative sia da parte dei pazienti (e dei loro parenti) che dei professionisti in servizio, ma anche un incremento delle complicanze di malattia sia per i casi che verranno ospedalizzati sia per quelli che al termine dell’osservazione verranno dimessi al domicilio. Esiste poi un legame tra un maggior numero di giorni di degenza e una maggior incidenza di complicanze. Inoltre la mortalità dei pazienti in attesa di ricovero aumenta dal 2.5% al 4.5% nei casi in cui il tempo di boarding supera le 12 ore.
Fuga dall'emergenza
La cronica mancanza di personale, con la continua fuga dai pronto soccorso e la mancata attrattività di giovani specialisti, non fa che aggravare la situazione. "Le strutture sono ormai praticamente tutte sotto organico, questo porta a turni massacranti e la qualità del servizio ne risente - ammette Riccardi - molti medici scelgono di abbandonare i pronto soccorso per trasferirsi in reparti meno stressanti o emigrare all’estero, dove trovano condizioni di lavoro migliori e chi resta ha così un carico insostenibile. Bisogna investire perchè è sempre più difficile reclutare nuove leve: pochi giovani scelgono la specializzazione in emergenza-urgenza, considerata poco attrattiva sia dal punto di vista economico che organizzativo".
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Medici gettonisti "male necessario"
In sanità si usano spesso 'tapulli' per continuare a fornire i servizi e in pronto soccorso vale soprattutto per i medici gettonisti. Il decreto legge 34 del 2023 ha imposto limiti stringenti a questa pratica con la possibilità di contratti occasionali solo in situazioni di urgenza e per un massimo di 12 mesi. "Per noi non è il male minore ma un male necessario - sottolinea Riccardi - questi professionisti non garantiscono la continuità necessaria e rappresentano un onere significativo per i bilanci delle aziende sanitarie. Noi al Santa Corona, per esempio, da dicembre non usiamo più gettonisti delle cooperative ma all'interno del sistema sanitario".
"Unici che non svolgono attività privata"
"Siamo gli unici operatori del servizio sanitario nazionale che non svolgono attività privata, a questo si aggiunge un carico di lavoro straordinariamente pesante, con turni notturni frequenti e poche opportunità di riposo - ricorda Riccardi - amiamo quello che facciamo, ma serve un impegno straordinario, che deve essere adeguatamente riconosciuto e tutelato anche viste le aggressioni in aumento. Senza interventi concreti, sempre più professionisti sceglieranno percorsi alternativi, più sostenibili dal punto di vista della qualità della vita e della compatibilità con la famiglia". Per Riccardi il rischio, sempre più concreto, è quello di "un sistema sanitario meno efficiente, con un prezzo sempre più alto per i cittadini. Chi ama questo lavoro è abituato allo stress e quindi non va via tanto per 'burn out' ma se ne va per 'moral injury', danno morale: i professionisti subiscono il disagio del boarding e sono danneggiati, feriti, sopraffatti da una situazione che causa danno e disagio ai familiari, consapevoli di non poter fare di più, e quindi di prestare una assistenza non adeguata al contesto per inadeguatezza del sistema".
Soluzioni non facili
Per molti medici e infermieri che lavorano nell'emergenza le difficoltà dei pronto soccorso rischiano di diventare un luogo comune, qualcosa che diventa abitudine e il timore di molti sanitari è che non venga affrontato seriamente. Per la società italiana di medicina-urgenza serve mettere in discussione tutto il sistema sanitario nazionale partendo dal territorio, riportando al centro il ruolo del medico di medicina generale che sempre di più rischia di essere un burocrate, pagare meglio chi lavora nell'emergenza garantendo un equilibrio tra lavoro e vita privata. "Di certo soluzioni facili non ce ne sono - conclude Riccardi - ma bisogna guardare al futuro".
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